Prima il centrodestra, poi il centrosinistra. La campagna elettorale per il referendum sulla giustizia parte con la consegna delle firme dei parlamentari, necessarie per indire la consultazione sulla separazione delle carriere. Poi la palla passerà alla Cassazione. Che, entro trenta giorni a partire da domani, quando saranno consegnate le firme raccolte dal campo largo alla Camera, dovrà verificare le sottoscrizioni presentate dalle due coalizioni e decidere sulla legittimità della richiesta. Poi, entro due mesi, toccherà al presidente della Repubblica fissare la data del voto, su proposta del Consiglio dei ministri. Con il referendum che, probabilmente, si terrà tra marzo e aprile dell'anno prossimo, come ha già anticipato il ministro della Giustizia Carlo Nordio negli scorsi giorni. Schieramenti già definiti, dunque. Per quanto riguarda i partiti, da un lato c'è il centrodestra compatto. Dall'altro un campo largo formato Pd-M5s-Avs. Azione di Carlo Calenda, invece, pur avendo sostenuto la riforma in Parlamento, non farà campagna elettorale con i comitati per il Sì. Sempre astenuti i renziani di Italia Viva. E pure loro non saranno in prima linea nella campagna referendaria.
A tempo di record la raccolta firme della maggioranza, anche se i parlamentari avevano tempo fino a venerdì per sottoscrivere la raccolta per chiedere il referendum. Martedì e mercoledì si sono presentati in Cassazione i capigruppo dei quattro partiti di centrodestra di Camera e Senato, ieri è stata la volta dei progressisti di Palazzo Madama. Oggi prevista la consegna delle firme raccolte da Pd, M5s e Avs a Montecitorio. "Per la prima volta nella storia ci ritroviamo a difendere la Costituzione dalla prevaricazione dell'esecutivo", suona la carica, davanti alla Corte, il capogruppo dem al Senato Francesco Boccia (foto). "Nelle piazze non diremo soltanto che cos'è questo referendum nel merito, ma diremo anche tutto quello che c'è dietro questo referendum e insisteremo molto sul nulla che questo governo ha fatto", chiama alla battaglia il pentastellato Stefano Patuanelli. L'idea dei tre partiti schierati per il No è quella di mettere in piedi un comitato "politico" unitario. "Vi facciamo vedere chi comanda. È di questo che si sta parlando. La politica vuole scegliersi i propri giudici", attacca Elly Schlein. E Angelo Bonelli: "Non chiederò le dimissioni di Giorgia Meloni se dovesse perdere questo Referendum". Eppure, il fronte progressista, deve fare i conti con diverse defezioni nel suo campo. Per il sì - tra gli altri - Goffredo Bettini, esponenti liberal come Stefano Ceccanti, Emma Bonino.
Pro-separazione delle carriere anche l'ex premier Lamberto Dini.
"Lieto della riforma, il sì vincerà con il 60%". Oltre ai partiti, si muovono i comitati della "società civile". Per il Sì c'è quello dell'Unione Camere Penali, della Fondazione Einaudi e "Giuliano Vassalli per il sì". Per il No c'è il comitato promosso dall'Anm.