Politica

Associazione a delinquere e falso (per amore) Lucano verso il processo

Nuove accuse all'ex sindaco di Riace: truccò la carta d'identità per aiutare un'amica intima

C i sono l'associazione a delinquere e le truffe, le concussioni, il peculato, gli abusi d'ufficio, i falsi in atto pubblico. E, in mezzo alla montagna di carte che la Procura di Locri scaraventa ieri su Mimmo Lucano, ex sindaco di Riace, ci sono anche i suoi affari di cuore, le relazioni sentimentali che l'avrebbero spinto a truccare persino le carte di identità del Comune calabrese per aiutare una donna cui era legato da «intima amicizia». Una sfilza di accuse depositate da ieri in Procura a Locri a disposizione dei difensori del sindaco, insieme all'avviso che le indagini sono concluse. Lucano ha ora venti giorni di tempo per chiedere di essere interrogato. Poi la Procura farà scattare la richiesta di rinvio a giudizio.

Dal giorno di inizio ottobre in cui Lucano finì agli arresti domiciliari è successo praticamente di tutto. L'accusa al sindaco di avere trasformato il «modello Riace» dell'accoglienza ai migranti in una macchina per clientele e consensi elettorali ha spaccato l'opinione pubblica: come si è visto anche nei giorni scorsi, quando alla decisione del consiglio comunale di Milano di offrire a Lucano la cittadinanza onoraria ha risposto bruscamente il ministro dell'Interno Matteo Salvini, «credo che ci siano molti italiani perbene, mai arrestati, che la meriterebbero più di questo signore». La Procura di Locri ha taciuto, preferendo che a parlare fossero le carte.

E a metà ottobre ha incassato un primo, rilevante successo, quando il tribunale del Riesame di Reggio Calabria ha revocato gli arresti domiciliari per Lucano ma ha anche certificato e appesantito il quadro delle accuse a suo carico.

È da questa massa di carte che la Procura ritiene emerga con chiarezza il «delirio di onnipotenza» che viene attribuito a Lucano. Il reato di associazione a delinquere viene contestato all'ex sindaco e ad altri quattordici indagati «per essersi associati tra loro allo scopo di commettere un numero indeterminato di delitti contro la pubblica amministrazione, la fede pubblica e il patrimonio» orientando le risorse ministeriali per l'accoglienza dei migranti verso le associazioni controllate dagli amici di Lucano. E in particolare da quel Tonino Capone che i pm considerano l'alter ego di Lucano («Lui è la mente, io sono le braccia», dice Capone stesso, intercettato dalla Guardia di finanza), cui dal sindaco venivano affidati appalti pubblici saltando tutte le procedure e l'opposizione degli stessi funzionari del Comune di Riace.

Sono accuse di cui ora Lucano, che dopo l'arresto era stato interrogato per quattro ore dal giudice preliminare («non ho nulla da nascondere, non ho mai guadagnato né preso soldi da alcuno») potrà rispondere anche ai pm che lo accusano. Finora, in pubblico, Lucano ha rivendicato politicamente il suo operato, «ho applicato la Costituzione», ma ora dovrà rispondere punto per punto alle accuse. Comprese quelle che con la difesa dei migranti sembrano avere poco a che fare, come i documenti truccati per aiutare una sua amica, Lemlem Tesfahun, da quindici anni già residente in Italia. Scrive il tribunale del Riesame: «La Tesfahun la sa molto lunga ed è parsa una donna astuta e con pochi scrupoli, capace di approfittare dal sentimento che il Lucano nutriva per lei.

Dal canto suo Lucano, che non perde occasione per definirsi sostanzialmente novello Gandhi, più che mosso dai principi umanitari che tanto evoca in questo caso sembra essere mosso da ragioni sentimentali».

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