Nel carcere di Parma, dove sta scontando la sua condanna per concorso esterno in associazione mafiosa (e dove, come raccontano i suoi avvocati «tiene botta»), Marcello Dell'Utri viene raggiunto ieri da una buona notizia: non dovrà farei conti con un altro processo che rischiava di appesantire ulteriormente il suo conto con la giustizia. L'ex senatore del Pdl vede accolta la tesi con cui, prima di espatriare in Libano, aveva sempre respinto l'accusa di avere contribuito a mandare a gambe all'aria il Credito cooperativo fiorentino, la banca del suo compagno di partito Denis Verdini. «Ho chiesto un prestito e l'ho restituito», aveva sempre detto Dell'Utri «e comunque non avevo alcun elemento per sapere che la banca sarebbe fallita». «Il fatto non costituisce reato», dice la sentenza emessa ieri dal giudice preliminare di Firenze.
Storia complessa, e su cui si è ricamato a lungo, quella del prestito concesso dal Credito di Verdini a Dell'Utri. Perché sullo sfondo c'è la storia della grande villa sul lago di Como, a Torno, che è stata a lungo il buen retiro del parlamentare azzurro, e che venne ristrutturata con i soldi prestati dalla banca fiorentina. Poi Dell'Utri dovette venderla: «Ormai sono un nobile decaduto», commentò ironicamente. Ma le chiacchiere non si fermarono, perché a comprarla fu Silvio Berlusconi, ad un prezzo che alcuni considerarono spropositato, ventun milioni di euro. Il Cavaliere venne accusato di avere firmato il mega assegno per aiutare di nascosto l'amico in difficoltà, e nonostante che gli esperti immobiliari del lago spiegassero che il prezzo era assolutamente nel mercato («da quando sono arrivati i russi qui le cifre sono schizzate all'insù») le dietrologie non si placarono.
Ora, la sentenza del gip mette un punto fermo alla faccenda. Della bancarotta del Credito cooperativo dovranno rispondere Verdini e gli altri quarantasei imputati, a processo dal prossimo 21 aprile. Dell'Utri invece esce di scena. Che potesse andare a finire così, l'ex senatore lo aveva intuito nei mesi scorsi, man mano che altri imputati in posizioni simili alla sua venivano prosciolti dalle accuse dei pm. Così Dell'Utri, che per questa accusa non era stato ancora formalmente estradato dal Libano, e che quindi poteva bloccare il processo fino alla decisione del governo di Beirut, ha deciso di non opporsi e di affrontare l'udienza preliminare. Dove i suoi avvocati, Pietro Federico e Giuseppe Di Peri, hanno ricordato che il mutuo concesso a Dell'Utri nel 2004 per restaurare Villa Comalcione - quaranta stanze, e ampio parco affacciato sulle sponde del Lario - è stato restituito alla banca non appena incassato l'assegno della vendita a Berlusconi.
«Abbiamo avuto un processo equo e corretto», commenta l'avvocato Federico. La grana più rilevante con cui a Dell'Utri rimane da fare i conti è il processo per la cosiddetta P3, l'associazione segreta di cui secondo la Procura di Roma faceva parte insieme a Denis Verdini e ad altri, tra cui l'ex sottosegretario Nicola Cosentino.
Ma qui, a differenza che davanti al gip di Firenze, Dell'Utri è meno convinto che i giudici siano disposti ad ascoltare le sue tesi. Così non ha dato l'assenso a venire processato fino a quando le autorità libanesi (ammesso che almeno loro riescano a capirci qualcosa) non avranno detto la loro anche su questa accusa.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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