Una corsa a ostacoli. Quello della vaccinazione di massa contro il Civid-19 è un percorso accidentato, che rallenta il sogno dell'immunizzazione e del ritorno alla normalità. Ieri una notizia da Bruxelles ha raggelato l'Europa. Un funzionario Ue citato da Reuters ha rivelato che anche nel secondo trimestre AstraZeneca consegnerà meno della metà delle dosi «contrattualizzate» con Bruxelles, non toccherà i 90 milioni di dosi a fronte dei 180 previsti. Nel secondo trimestre l'Italia dovrebbe ricevere circa 10 milioni di dosi del vaccino anglo-svedese, ma chissà se sarà così.
Una brutta notizia, perché il farmaco AstraZeneca, anche se considerato meno efficace rispetto agli altri due attualmente disponibili in Europa e del tipo mRna (Pfizer-BioNTech e Moderna), ha il vantaggio di ricorrere a una catena del freddo meno rigorosa e richiede tempi più lunghi tra le due dosi ma comunque offre protezione già dopo tre settimane. Quindi potrebbe fornire numeri importanti di immunizzazione nelle prossime settimane. Inoltre prorpio ieri una circolare del ministero della Salute firmata dal direttore generale della Prevenzione Gianni Rezza ha dato il via libera alla somministrazione nelle classi di età tra i 55 e i 65 anni, che erano inizialmente state escluse da questa tipologia. La decisione segue le indicazioni scientifiche «che riportano stime di efficacia del vaccino superiori a quelle precedentemente riportate, e dati di immunogenicità in soggetti di età superiore ai 55 anni, nonché nuove raccomandazioni internazionali tra cui il parere del gruppo Sage (Strategic Advisory Group of Experts, ndr) dell'Oms». Per l'epidemiologo Pier Luigi Lo Palco questa novità «darà senza dubbio impulso alla campagna vaccinale già partita nelle scuole, università e negli altri servizi essenziali». Che potrebbe avere ulteriore slancio da un'analisi dei dati «sulla efficacia dei vaccini a mRna (Pfizer e Moderna) già dopo la prima dose, in modo da programmare calendari vaccinali più distanziati con la seconda dose a 12 settimane, come si fa con AstraZeneca».
Insomma, l'ottimismo c'è, la programmazione si va studiando, manca la materia prima. La corsa alla vaccinazione di massa in Italia e in Europa è una macchina tuttora imballata, che fatica a prendere velocità. Ieri in Italia si contavano 3.647.651 dosi somministrate e 1.338.877 persone vaccinate con entrambe le dosi, poco più del 2 per cento della popolazione. L'Europa cerca una strategia condivisa per porre rimedio a quella che ieri la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha definito una vera «dipendenza da alcune materie prime provenienti solo da una manciata di produttori», e «a volte questi produttori provengono esclusivamente dall'estero». L'Ue punta forte anche sulla collaborazione pubblico-privato per produrre le dosi in diversi siti nei Paesi dell'Unione (ne sarebbero stati già individuati sedici, di cui due in Italia) grazie a licenze provvisorie rilasciate dalle aziende che hanno ottenuto l'approvazione. «Dovremmo passare dalla modalità di crisi a una nuova velocità di crociera di cooperazione con le industrie europee», dice von der Leyen.
Ieri la questione vaccini e il coordinamento europeo in materia è stata tra i temi forti della videoconferenza a cui hanno partecipato, oltre alla
stessa von der Leyen, il premier Mario Draghi, il presidente del Consiglio europeo Charles Michel, il presidente di turno del Consiglio Ue Antonio Costa, la cancelliera tedesca Angela Merkel, e il premier greco Kyriakos Mitsotakis.
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