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"Avvisati tardi e non consultati". L'ira dei sindaci sulle scuole chiuse

Il primo cittadino di Milano guida la rivolta di genitori e studenti: "Stop solo alle lezioni in presenza, non a negozi e movida". L'esempio di Zaia in Veneto: in classe in zona arancione

"Avvisati tardi e non consultati". L'ira dei sindaci sulle scuole chiuse

Da una parte si schiera con i ragazzi, costretti ancora una volta a rinunciare alla scuola da un giorno all'altro e relegati di nuovo nelle loro stanze davanti a uno schermo, invitandoli a farsi sentire da chi decide. Dall'altra attacca la Regione Lombardia alimentando lo scontento contro i governatori che, seppur avendo chiuso le classi sulla base di indicazioni medico scientifiche, lo hanno fatto in modo così repentino da mettere in difficoltà le famiglie.

Il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, commenta sui social con un video messaggio l'ordinanza del presidente Attilio Fontana con la quale la Lombardia va in fascia arancione rafforzato fino al 15 marzo, con la conseguente chiusura delle scuole. Una decisione lampo, presa il giovedì per il giorno successivo. Genitori nello sconforto, la rabbia che monta sui social, una protesta oggi pomeriggio sotto gli uffici dell'Ats. Il governatore rivendica la sua scelta: «Le misure rafforzate adottate hanno scongiurato la zona rossa». Ma non è stata una mossa indolore. Sala critica il modo in cui il Pirellone gestisce i rapporti istituzionali. Uno stile che definisce di «finto coinvolgimento»: «La convocazione ai sindaci è stata fatta a cose fatte. Abbiamo provato a fare delle osservazioni ma ci è stato detto che era già tutto definito, allora la prossima volta ci mandino una e-mail». Polemico con Fontana e solidale con i ragazzi: «Avverto e comprendo lo scoramento, la stanchezza e magari anche la rabbia, vostra e dei vostri genitori che in molti casi sono stati costretti a organizzarsi dalla sera alla mattina. Sia chiaro, la decisione sappiamo che è stata presa su indicazioni medico-scientifiche, ma con un'attuazione così repentina le famiglie sono state oggettivamente messe in difficoltà». Poi l'invito a fare sentire la propria voce: «È giusto, anzi doveroso, che i decisori politici sentano maggiormente la voce dei giovani che hanno tutto il diritto di dire la loro in merito a scelte che riguardano la loro vita».

Anche in Piemonte stesso scontento, con il sindaco di Domodossola, Lucio Pizzi, che prende le distanze dalla scelta di mandare i ragazzi in didattica a distanza annunciata dal presidente della Regione Alberto Cirio. «Non ha alcuna competenza in merito alla chiusura delle scuole», attacca il primo cittadino lamentando di essere stato «tagliato fuori dal processo decisionale che ha portato alla chiusura». Quella di Pizzi è una delle tanti voci che non considerano «le scuole origini di focolai». I rischi sarebbero da ricercare in altri comportamenti. E sono in tanti a non digerire le classi chiuse e i negozi aperti, come prevedono le zone arancioni rafforzate. La dad torna pure in Friuli Venezia Giulia, da lunedì in zona arancione. «Se qualcuno crede che il presidente della Regione si diverta a chiudere le scuole, ha capito ben poco. Lo abbiamo fatto con dispiacere e con senso di difficoltà e facendo un grande sacrificio», respinge gli attacchi il governatore Massimiliano Fedriga. Arancione anche la Toscana, ma con 76 comuni in dad. Mentre in Veneto, il presidente Luca Zaia, prende tempo per valutare meglio la situazione epidemiologica. Poi, tra lunedì e martedì farà il punto e se servirà gli studenti torneranno in didattica a distanza. «Il virus guarda ai giovani, le varianti sono un pericolo, inutile piangere davanti alle tragedie, meglio prevenire. Le scuole in zona arancione rimangono aperte - dice Zaia - a meno che non ci siano i numeri per chiuderle».

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