
Grida di gioia e commozione, abbracci, sguardi increduli, tra i palestinesi che si sono precipitati ad accogliere i prigionieri liberati da Israele ieri dopo l'accordo di cessate il fuoco nella Striscia. Sono arrivati in autobus in Cisgiordania e a Gaza. Scarni, pallidi, avvolti nella kefiah, alcuni facevano fatica a camminare, la folla esultante urlava i loro nomi, facevano segni di pace dai pullman a Ramallah. I bus provenienti dal carcere di Ofer sono stati accolti da una calca festante, con bandiere, cori e familiari in lacrime. Una volta aperte le porte, i parenti sono corsi verso i loro cari, li hanno presi sulle spalle, li hanno baciati, stretti. Un prigioniero si è accasciato ai piedi della madre piangendo. All'interno della Striscia invece diverse migliaia di persone si sono radunate all'ospedale Nasser di Khan Younis. Sventolavano bandiere palestinesi e altri le foto dei familiari. I prigionieri dai pullman si sono messi in posa dai finestrini, mostrando il segno della "V" per la Vittoria. Una dozzina di uomini armati, mascherati e vestiti di nero sono arrivati all'ospedale, dove erano stati allestiti un palco e delle sedie per ricevere i carcerati. Gli altoparlanti risuonavano canzoni che celebravano la causa palestinese. "È pronto ad abbracciare la libertà", ha chiarito Amro Abdullah, 24 anni, in attesa del cugino Rashid Omar, 48 anni, condannato all'ergastolo da un tribunale israeliano dopo essere stato riconosciuto colpevole di omicidio e altri crimini. "Voglio la pace", ha poi confessato. "Voglio vivere una vita felice, sicura e in pace, senza occupazione e senza restrizioni".
Lacrime, confusione e cori di giubilo. Israele ha però fatto sapere di non voler vedere bandiere di Hamas come era accaduto in occasione dei precedenti rilasci. Per le famiglie la rapidità di questo accordo ha fatto sì però che l'elenco dei prigionieri palestinesi destinati alla scarcerazione cambiasse costantemente fino all'ultimo minuto e ad alcuni di coloro che aspettavano ieri mattina è stato comunicato che i loro parenti saranno deportati all'estero e non torneranno a casa come previsto. Trattenendo a stento le lacrime, una donna, Um Ahmed, spiegava di provare ancora "sentimenti contrastanti" per questa giornata. "Sono felice per i nostri figli che vengono liberati, ma siamo ancora addolorati per tutti coloro che sono stati uccisi e per tutta la distruzione che ha colpito la nostra Gaza". "È una sensazione bellissima, un giorno di gioia", ha detto invece Muhammad Dawood, 50 anni, che era lì per andare a prendere suo figlio, che a suo dire è stato arrestato dalle forze israeliane a un posto di blocco. Mohammad Al-Khatib, che aveva trascorso 20 anni in una prigione per aver ucciso tre israeliani, ha rivelato di non riuscire a credere che presto si sarebbe riunito alla sua famiglia a Betlemme. Aveva visto i suoi 4 figli l'ultima volta quando gli avevano fatto visita 30 mesi prima. "Abbiamo sempre avuto speranza", ha infine confidato.
Tra i prigionieri, 1.968 in tutto, ci sono 250 che scontavano la pena dell'ergastolo, oltre ai 1.718 arrestati durante la guerra. Israele aveva inizialmente dichiarato che avrebbe atteso la liberazione di tutti gli ostaggi, ma ha invece deciso di scarcerarli prima che Hamas consegnasse le salme degli altri 28 sequestrati. 154 sono stati trasferiti in Egitto. Tra i rilasciati non ci sono alcune delle figure più importanti delle fazioni palestinesi. Soprattutto Marwan Barghouti, per molti l'unica persona in grado di riunire Gaza e Cisgiordania sotto la stessa leadership. Barghouti, il leader di Fatah simbolo della prima e della seconda Intifada, resterà in carcere dopo già 23 anni dietro le sbarre.
Considerato dall'Economist "il prigioniero più importante del mondo" e da alcuni il "Mandela palestinese", Barghouti è l'unico esponente ritenuto in grado di colmare il vuoto di leadership lasciato dall'anziano Abu Mazen e di gettare le basi per un nuovo progetto nazionale.