Bankitalia non fa credito a Renzi: la ripresa stenta

L'analisi di Visco punta il dito sugli investimenti. Ma Padoan: la manovra aiuta le imprese

Bankitalia non fa  credito a Renzi: la ripresa stenta

Roma - «In Italia la ripresa economica non si è interrotta ma rimane stentata». Anche il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, si è aggiunto - nel corso del suo intervento alla Giornata del risparmio - alla schiera di coloro che mettono in dubbio l'eccessivo ottimismo manifestato dal governo.

Il numero uno di via Nazionale, però, non si è iscritto al «partito dei gufi», ma ha solo messo in evidenza come «dopo la battuta d'arresto del secondo trimestre, l'attività dovrebbe essere tornata a crescere lievemente nel terzo». Insomma, niente di eccezionale, ma a preoccupare Visco sono soprattutto gli investimenti. «L'accumulazione di capitale è modesta nel confronto europeo e rispetto a quanto osservato all'uscita da precedenti episodi recessivi; in termini reali rimane su livelli inferiori di quasi il 30% rispetto a quelli del 2007». Questo significa che gli effetti benefici dell'accomodante politica monetaria di Mario Draghi non hanno trovato terreno molto fertile nel nostro Paese e che dunque sarebbe necessario compiere qualche sforzo in più. Ma è su questo capitolo che l'inquilino principale di Palazzo Koch si è smarcato dal novero dei rigoristi. «L'area euro - ha detto - risente della mancanza di un bilancio pubblico comune da usare in chiave anticiclica, tanto più grave in un contesto in cui molti Paesi hanno pochi margini di manovra a livello nazionale e altri esitano ad adottare politiche espansive». Insomma, l'Italia ha troppo debito e non può spendere, mentre la Germania, che potrebbe farlo, rimane imperturbabile. Si sbaglierebbe, però, a inscrivere Visco tra i «renziani», piuttosto (come già gli capitò qualche mese fa con la citazione dylaniana The times they are a-changin') si tratta di una sollecitazione a cambiare paradigma economico dinanzi a una crisi strutturale e generalizzata che il vecchio Continente non ha saputo (o forse non ha voluto) superare.

Dinanzi a questa analisi rigorosa ma non severa il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, pure lui presente all'evento, ha opposto una constatazione un po' fané. Occorre «proseguire sulla strada stretta di sostegno allo sviluppo e di consolidamento di bilancio». Parole che sembrano invertire i ruoli in campo: il ministro nella parte dell'austero interprete e il governatore in quella del keynesiano. Ma non è così perché, oltre a enumerare le magnifiche sorti e progressive indotte dalla legge di Bilancio 2017, Padoan ha sottolineato che «nonostante gli sforzi profusi a livello globale per una crescita solida sostenibile ed equilibrata le prospettive economiche in Europa restano deboli ed esposte a significativi rischi al ribasso». Ecco perché è necessaria nel nostro Paese e in Europa «una strategia di crescita coordinata».

Un ministro alle prese con gli «zero virgola» e con gli scambi epistolari con la Commissione Ue non poteva certo esaltarsi e pur tuttavia ha rimarcato come «il taglio dell'Ires al 24% consentirà alle imprese italiane di migliorare la propria posizione competitiva». Poi, da novello renziano, ha acceso la miccia.

«Elezioni e referendum oggi sono percepiti come in grado di innescare effetti sistemici» tipo Brexit. L'attesa «frena investimenti e consumi favorendo risparmio precauzionale»: questo il suo personalissimo spot per il Sì.

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