Luigi Guelpa
Joseph Kabila non ha abbandonato il proposito di succedere per l'ennesima volta a se stesso e sta soffocando nel sangue le proteste e le marce pacifiche organizzate dalla comunità cattolica congolese. Domenica l'esercito di Kabila si è macchiato di un crimine aberrante, sparando sulla folla che usciva dalla cattedrale di Sant'Alfonso a Kinshasa. Le raffiche di mitra hanno lasciato a terra almeno 12 persone, tra di loro alcuni piccoli cherichetti che guidavano il corteo. L'iniziativa pacifica, accompagnata dai rintocchi delle campane e dal suono delle vuvuzela, era stata organizzata dai parroci dell'Arcidiocesi della capitale della Repubblica Democratica del Congo, per l'anniversario dell'intesa firmata il 31 dicembre 2016. Gli accordi raggiunti, con la mediazione dei vescovi congolesi, sarebbero serviti a superare lo stallo politico-istituzionale dopo che non si erano tenute le elezioni presidenziali nonostante la scadenza naturale del secondo e ultimo mandato del presidente, il 20 dicembre 2016. Per la cronaca Kabila è al potere dal 2001, succeduto al padre Laurent Desire, pochi giorni dopo il suo assassinio.
Kabila continua a fare orecchie da mercante, nonostante le pressioni della comunità internazionale e l'invio dei caschi blu dalla Tanzania, massacrati lo scorso 8 dicembre in circostanze poco chiare. La Conferenza Episcopale congolese, per voce di padre Nicolas, è convinta che «alla fine Kabila sarà costretto ad annunciare una data per nuove elezioni e a farsi da parte. Risponderemo alla violenza con la parola di Dio». L'indicazione arrivata è quella di suonare le campane ogni giovedì alle 21 per 15 minuti, invitando i fedeli ad accompagnare i rintocchi suonando nelle strade claxon, fischietti, vuvuzela e battendo pentole. Un nuovo massacro è dietro l'angolo e lo si evince dalle parole del ministro degli Interni Denis Numbi che parla di «terroristi e sobillatori che stanno tentando di destabilizzare il Paese». Al momento almeno 200 persone sarebbero finite in carcere. A Kinshasa è tornato il terrore, come col feroce Mobutu, ma a preoccupare maggiormente gli osservatori internazionali è l'emergenza umanitaria nella regione del Kasai. L'Unicef ha lanciato l'allarme sulla situazione di 400mila bambini gravemente malnutriti che rischiano di morire» nella regione centrale, dilaniata da violenze dal settembre 2016. La catastrofe è stata in gran parte causata da violenze, da sfollamenti di massa e dalla riduzione della produzione agricola negli ultimi due anni.
Nel Kasai, così come nel Kivu, altra regione martoriata, non riconoscono da tempo la presidenza Kabila e il clima d'anarchia sta spezzando come matite l'esistenza di mezzo milione di bambini. Ironia della sorte l'Onu paga nell'ex Zaire il contingente di pace più costoso della storia: 1,2 miliardi di dollari l'anno per garantire la presenza di 18mila caschi blu, senza purtroppo risultati degni di nota.
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