
I rave party sono praticamente spariti, o quasi: a meno di chiamare rave party delle semplici feste oppure delle concentrazioni esibite di «resistenti» i quali, oltre ad atteggiarsi a tali, nei video si offuscano il viso e parlano di «regime» e di «libertà di espressione», anche se intanto mantengono un'arietta stortignaccola da centri sociali in trasferta, con paradosso di avere la polizia che li guarda ballare. Non sono più rave party: non quelli che, per definizione, erano segreti e soprattutto illegali, quelli che originavano denunce per intrusione abusiva, mentre adesso, dopo il decreto del 31 ottobre 2022, hanno fatto passar la voglia di sfidare l'autorità come primo obiettivo. Come si dice: la deterrenza. Ma ci sono anche altri motivi. Uno è legato alla ri-sensibilizzazione che il Decreto ha portato con sé: la campagna mediatica ha banalmente rialzato l'asticella della consapevolezza di quanto sia grave (o semplicemente sia vietato) occupare abusivamente una casa o uno spazio, bloccare le strade, imbrattare prati e boschi, ciò che un tempo era mestamente catalogato a comportamento proibito «ma non tanto». Poi, ovviamente, c'è che, ora, interviene di più la polizia, perché il nuovo decreto ha risvegliato anche indolenze molto italiane che avevano contagiato anche magistrati e forze dell'ordine.
Ce ne sarebbero parecchi di esempi di quanto sia cambiata l'aria: li si trova perlopiù sulla stampa locale. Il 2 maggio scorso, a Comano Terme, in provincia di Trento, era stato organizzato un micro-rave illegale di 250 persone riunito sotto un tendone da circo: ma polizia e carabinieri hanno ordinato di sbaraccare; e così è stato, nel senso che luci e musica sono state spente, ma nessuno infine se ne andava (i festaioli volevano dormire lì) e allora è finita con scontri e manganellate e gas lacrimogeni: se le sono date di santa ragione. In genere, però, non succede. Come detto, sono festicciole da poche centinaia di persone (lontanissime dai teknival da decine di migliaia) ed è sufficiente che le forze dell'ordine circondino il luogo della festa e blocchino le vie d'entrata e di uscita: passa la voglia. Più piccola è una festa, peraltro, e più è facile smantellarla. In compenso i pochi presunti rave che si fanno, o si azzardano, sono più politicizzati di un tempo, perché i partecipanti si atteggiano a carbonari: così ogni tanto fiocca qualche striscione contro i Cpr (i Centri di Permanenza per i Rimpatri) che c'entra apparentemente niente e scoraggia qualche godurioso libero e puro. A proposito, droga? Quella c'è come dappertutto: nel caso, pillolame da discoteca più robuste zaffate di cannabis e marijuana.
Insomma, il simbolo dei nuovi rave party (che non sono rave party) è che spesso le forze dell'ordine giungono sul posto ancor prima che tutto abbia inizio: un bel fallimento per chi dapprima si era dato un tono, aveva solo vociferato circa l'appuntamento finale, aveva poi offerto un giro di passaggi in auto verso mete molto vaghe, senza dire la città o addirittura la regione, in attesa di istruzioni più precise attorno alla mezzanotte: per poi, alla fine, arrivare lì e trovare i celerini. Alla malora.