«Le ripetute e sempre più frequenti messe al bando di artisti e intellettuali russi suscitano preoccupazione. È in atto un'operazione di cancel culture pericolosa», si legge nella lettera arrivata ieri sul tavolo di Sergio Mattarella e del ministro Dario Franceschini. La lista dei firmatari si ferma al numero 201: gli anni che ci separano dalla nascita di Dostoevskij, scrittore-simbolo di una crescente russofobia.
Cala una cortina di ferro anche nel mondo della cultura: il caso Dostoevskij è la punta dell'iceberg di un atteggiamento di aut aut, richieste di abiura e caccia alle streghe. Dal 24 febbraio, si puniscono gli artisti russi che non si pronunciano contro il Cremlino. Chi si rifiuta non dirige, non canta, non danza, non espone: dal Canada all'Australia. Il più avversato è il direttore Valerij Gergiev vicino al capo dello Stato essendo al timone del Mariinskij di San Pietroburgo, un teatrone di Stato da 2mila dipendenti: schierarsi implica schierare un'istituzione. Quando mai gli artisti sono stati forzati a condannare il proprio Paese in conflitto? Eppure proprio il Met di New York ha chiesto questo alla cantante Anna Netrebko, pena - già applicata per i prossimi due anni - la cancellazione dalle stagioni. A monte operano tribunali dell'inquisizione 2.0 che sondano i social e scavano nel passato. «Negli ultimi 50 anni il mondo ha conosciuto una serie di guerre, ma è la prima volta che l'arte è tra le vittime. Così, mettiamo al bando l'eredità di un Paese. E paradossalmente queste sanzioni culturali, mai applicate prima, potrebbero indurre milioni di persone a trovare la ragione del conflitto. La cultura è da sempre pacificatrice e terreno di dialogo. Cosa succede ora? Perché ci isolate», lamenta Galina Stolyarova, giornalista di cultura del Moscow Times.
«La questione che si pone non è quella della neutralità ad ogni costo, ma se l'arte stessa deve servire da veicolo per ogni espressione di opinione. Io penso: no», osserva Jonas Kaufmann, il tenore più rappresentativo del momento.
Esemplare il commento Alexander Malofeev, fenomeno del pianoforte di soli 20 anni, di Mosca. In Canada gli è stato chiesto di esprimersi contro il Cremlino. «La verità - la sua risposta - è che ogni russo si sentirà colpevole per decenni a causa della terribile e sanguinosa decisione che nessuno di noi poteva influenzare e prevedere». Laddove prevale il buon senso, c'è apertura e cultura. E così, la Scala ha sì rinunciato a Gergiev, però lo ha sostituito con un giovane sotto la sua ala: dal Mariinskij nessun niet alla sostituzione, e dal pubblico applausi calorosi al giovane direttore. La Filarmonica scaligera ieri sera ha dedicato il suo concerto alle vittime della guerra senza specificare se ucraine o russe.
E mentre il direttore Tugan Sokhiev si dimette sia dal Bolshoi di Mosca sia dall'Orchestra di Tolosa poiché costretto «a scegliere tra due tradizioni culturali», il concorso pianistico Van Cliburn, in Texas, sente il dovere di giustificare il fatto che accetterà candidati russi poiché «non sono funzionari del governo». Van Cliburn è il concertista americano che vinse il concorso Cajkovskij di Mosca. Correva il 1958, piena Guerra fredda. In quel momento l'arte unì Usa e Urss.
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