Si definiscono patrioti e parlano volentieri di «Vaterlandsliebe», amore per la Patria. Visto il peso della storia tedesca basta questo a distinguere il loro linguaggio da quello degli altri politici di Berlino e dintorni. Ma, tra gli esponenti di punta di Alternative für Deutschland c'è chi non si ferma qui.
Björn Hocke, popolare leader del movimento in Turingia, citando il Memoriale dell'Olocausto ha detto qualche mese fa che «i tedeschi sono stati l'unico popolo a costruire un monumento alla vergogna nel centro della loro capitale», aggiungendo poi di auspicare «un ripensamento radicale sugli anni del nazismo». Alexander Gauland, il numero due di Afd, a proposito di Aydan Öroguz, ministra dell'integrazione, di chiare origini turche, ha promesso che l'Afd avrebbe provveduto a «smaltirla in Anatolia» (il verbo usato, «entsorgen», è quello che si utilizza per i rifiuti lasciati in discarica). Quanto al calciatore Jérôme Boateng, lo stesso Gauland ha confessato di apprezzarlo come giocatore, aggiungendo però che visto che era di colore nessun vero tedesco avrebbe voluto averlo come vicino di casa. E si potrebbe continuare con i frequenti riferimenti alle differenze razziali e alle imprese eroiche della Wehrmacht. Anche per questo l'approdo di Alternative für Deutschland in parlamento è una cesura profonda nella vita tedesca che segna, sotto certi aspetti, la fine di una fase del dopoguerra.
Negli ultimi decenni in Germania la riflessione sul passato è stata così profonda e impietosa che il germanista Angelo Bolaffi, citando Nietsche, ha parlato di un Paese ormai «stedeschizzato». Nemmeno il trascorrere del tempo e il fatto che nessun tedesco di oggi abbia ovviamente avuto a che fare con l'Olocausto, ha allentato, nel discorso pubblico, il senso di una responsabilità assunta per sempre. La posizione è stata riassunta qualche tempo fa dall'ex presidente Joachim Gauck: «Certo noi non siamo responsabili del nostro passato ma siamo sicuramente responsabili di come ad esso ci rapportiamo. E questo tipo di rapporto decide del nostro presente e del nostro futuro».
Eppure, negli strati più profondi dell'anima tedesca c'è anche dell'altro. A dimostrarlo il fenomeno editoriale dell'anno, un librettino di appena 100 pagine, Finis Germania, pubblicato da un semisconosciuta casa editrice di destra. L'autore, Rolf Peter Sieferle, professore universitario, si è suicidato appena prima della pubblicazione. Grazie a un sotterraneo passaparola il volumetto è arrivato nel giro di pochi mesi in testa alle classifiche. Dato il contenuto, alcuni giornali, come Der Spiegel, hanno deciso di non rilevarne più le vendite, ma la mossa non ha fatto che contribuire alla popolarità del pamphlet. Che cosa dice il libro «maledetto»? Pur non essendo revisionista in senso tecnico (le camere a gas non vengono negate), il testo accusa gli ebrei di scaricare la loro colpa storica sui tedeschi. «La colpa ebraica per la crocifissione di Cristo non è mai stata ammessa dagli interessati.
I tedeschi, che invece riconoscono una colpa inemendabile, sono costretti a sparire dalla storia», obbligati a una condizione di minorità ormai ingiustificata. In questo senso Auschwitz è «l'ultimo mito di un mondo del tutto razionale». Con l'Afd la tesi è entrata in Parlamento.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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