Berlino - Come in una partita a poker, la Germania ha ascoltato le dichiarazioni della Turchia e poi ha rilanciato. Mercoledì si era diffusa la notizia della consegna da parte di Ankara a Berlino di una lista di 68 aziende tedesche incluse Daimler e Basf considerate fiancheggiatrici del gulenismo. E cioè di quel movimento fondato dal predicatore turco Fethullah Gülen, arcinemico del presidente Erdogan e considerato il burattinaio del tentato golpe di un anno fa. Nelle stesse ore le autorità turche convalidavano l'arresto di Peter Steudtner, attivista tedesco per i diritti umani, sospettato dalla polizia di connivenza coi terroristi. Ventiquattro ore dopo è giunta la duplice risposta di Berlino.
Interrotte le vacanze per gestire l'ultima crisi con Ankara, il ministro degli Esteri tedesco Sigmar Gabriel ha messo in guardia i suoi concittadini dal viaggiare in Turchia, un paese dove il rischio «di un arresto arbitrario» pende ormai sulla testa di chiunque, stranieri compresi. Ricordando che sono ormai 22 i tedeschi in carcere nel paese mediorientale, Gabriel ha spiegato che Steudtner «non è un esperto di Turchia, non ha mai scritto di Turchia, non ha contatti con l'establishment politico né risulta che lo abbia criticato; eppure è stato arrestato nel corso di un blitz dei reparti speciali della polizia». Da cui l'appello a chiunque si debba recare in Turchia «anche solo per brevi soggiorni» a registrarsi presso i consolati e l'ambasciata nelle liste dei tedeschi all'estero. Un invito, in altre parole, a rinunciare ai viaggi di piacere verso la Sublime Porta. In un paese con oltre tre milioni di cittadini turchi o di origine turca, le parole di Gabriel non lasciano indifferenti. Ecco perché davanti ai media il ministro ha premesso di aver concordato ogni propria parola sia con la cancelleria Angela Merkel e con il suo sfidante socialdemocratico Martin Schulz. Gabriel è quindi passato a ringraziare «i nostri cittadini» di ascendenza turca per il loro contributo passato e presente «allo sviluppo e alla prosperità del nostro Paese».
Quindi il rilancio: il ministro ha detto che Erdogan «sta chiaramente cercando di distruggere le fondamenta dello stato di diritto in Turchia», il che impone una correzione della politica estera della Germania. «Non si può suggerire di investire in un paese privo di certezze legali, in cui anche le aziende sono accusate di sostenere il terrore». E poi l'affondo: «Per questa ragione non vedo come il governo tedesco possa garantire gli investimenti aziendali in Turchia». Gabriel non ha neppure dimenticato di menzionare la questione dell'ingresso della Turchia nell'Ue, un negoziato da mesi in panne ma non certo per colpa dei tedeschi. Al contrario, fra il poderoso interscambio commerciale (37,2 miliardi di euro nel 2016) e l'impiego dietro congruo pagamento da parte dell'Ue della Marina turca a guardia delle coste greche contro l'immigrazione clandestina, la Germania è da sempre uno degli sponsor di una Turchia più vicina all'Europa. Una scelta che oggi tramonta.
Secca la risposta del portavoce di Erdogan, Ibrahim Kalin: «Non è accettabile che la Germania getti un'ombra sulle relazioni economiche con la Turchia sulla base di un calcolo politico in vista delle elezioni», ha detto con riferimento alle legislative in
programma nella Repubblica federale il prossimo 24 settembre. Da parte sua, il ministro degli Esteri turco Mevlüt Cavusoglu ha ricordato che sulla lotta al terrore il suo paese non transige e non si piega a «minacce e ricatti».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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