Berlusconi scuote la Ue. Gli altri pensano ai voti e Conte non sa cosa dire

Il Cavaliere parla da statista come Draghi. Pd e Lega ammiccano al proprio elettorato

Berlusconi scuote la Ue. Gli altri pensano ai voti e Conte non sa cosa dire

Non basta neppure un evento tragico ed epocale come la caduta di Kabul nelle mani dei talebani, dopo la resa americana, a unire la politica italiana (e la stessa maggioranza di governo) e a farla volare, almeno per qualche giorno, ad un'altezza un po' più elevata del rasoterra.

Ma si sa, più che le sorti dell'Europa, dell'Occidente e degli afghani contano assai relativamente, rispetto alle sorti delle prossime amministrative. E così, a mostrarsi consapevoli della portata storica degli eventi, e della necessità di affrontare la nuova sfida internazionale, restano in pochi: il premier Draghi; alcuni suoi ministri (come quello della Difesa Guerini, impegnato da giorni nell'organizzazione del salvataggio e dei ponti aerei militari che stanno portando in Italia chi rischia la rappresaglia talebana), alcuni suoi sostenitori. Come il leader di Forza Italia Berlusconi, che martedì ha espresso una posizione in piena sintonia con quanto, a sera, ha poi annunciato il premier: nessuna «rassegnazione» alla sconfitta dell'Occidente, nessun compromesso alla Monaco '38 con regimi «violenti e fanatici», ma immediato ricorso «alla diplomazia e al soccorso umanitario» e impegno a rilanciare il ruolo di una Ue lasciata orfana dal progressivo isolazionismo Usa. Messaggio rilanciato ieri anche dalla ministra agli Affari regionali Mariastella Gelmini: «Ora l'Europa dovrà trovare una sintesi comune e attuare una linea politica immediata per affrontare l'emergenza e soccorrere i più bisognosi; una strategia complessiva che tenga conto di questi essenziali elementi e valori: la dignità della vita umana non può mai essere messa da parte. E un'Europa solidale deve farsi carico di questo fardello».

Ma nella maggioranza, e nell'intero arco parlamentare, si fa fatica ad individuare voci autorevoli che vadano nello stesso senso. Almeno nei principali partiti, perché leader come Renzi o Casini sono ovviamente su quella linea. I leader delle due ali della maggioranza, Salvini da una parte e Letta dall'altra, hanno invece già trasformato il dramma afghano nell'ennesima occasione di tenzone elettorale. Il primo per aprire una nuova querelle propagandistica contro i migranti (come dall'opposizione fa Giorgia Meloni), il secondo per ammiccare alla sinistra pacifista e antiamericana, con condanne della «esportazione della democrazia con le armi» e omaggi a Gino Strada che sull'Afghanistan «aveva ragione». Ieri Salvini ha dato il via ad una sua diplomazia parallela, annunciando incontri con ambasciatori turchi e pachistani («Dietro a tutto c'è il Pakistan, per questo lo vedrò», fa sapere) e soprattutto rilanciando il proprio antico feeling con Putin e il suo regime (che in verità sta cercando sponde con i talebani): «La Russia è strategica e bisogna riallacciare i rapporti», proclama, e non «lasciare l'Afghanistan alla Cina».

Cina che è stata (e in parte è ancora) il punto di riferimento dei Cinque Stelle, con l'allora premier Giuseppe Conte che aderiva entusiasticamente alla «Belt and Road» di Pechino, facendo arrabbiare anche il suo protettore Trump, e Grillo che si prostrava (anche recentemente) in ambasciata.

La repentina svolta europeista dei grillini, dopo anni di sbandate per il Venezuela e i Gilet Gialli, passando per Hamas, non è ancora stata ben digerita, ed è palese l'imbarazzo con cui il partito contiano affronta la crisi di Kabul, senza sapere bene cosa dire. Luigi Di Maio, titolare degli Esteri, è rimasto sotto l'ombrellone finché ha potuto, poi si è allineato e coperto dietro Draghi e Guerini. Conte? Non pervenuto.

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