
Israele non può vivere senza almeno un paio di breaking news al giorno: non basta il fatto che Yuval Raphael, una ragazza risorta dopo otto ore di tragico occultamento sotto i corpi dei suoi compagni trucidati il 7 ottobre da Hamas abbia raggiunto il secondo posto all'Eurovision, per un voto popolare che contraddice a pieno la foga antisemita universale; al pomeriggio è giunta la dichiarazione dall'ufficio di Netanyahu che Israele considera positivamente ogni accordo per i rapiti, compresa la conclusione della guerra. È chiaro? No. Anche perché l'Idf ieri ha lanciato un'operazione di terra di vasta scala sulla Striscia di Gaza, l'inizio di «Carri di Gedone». Ma qualcosa bolle in pentola: Netanyahu ha lasciato uscire dal suo ufficio l'idea di una fine della guerra in vista e questa è una pietra miliare. Perché il primo ministro ha ripetuto più volte in questi giorni che all'orizzonte, per ora, c'è soprattutto l'operazione per cui l'Idf si sta mettendo in posizione di attacco in tutta la Striscia per chiudere i conti con Hamas; perché intanto quasi di sicuro Mohammed Sinwar è stato eliminato, e lui è sempre stato il più ostico alla trattativa. Certo, la dichiarazione non è fatta per i Paesi europei, compreso il nostro, che sabato hanno usato formule di condanna senza considerare il grande contesto, il pericolo continuo di vita, la persecuzione fissa del terrore e dei bombardamenti giorno dopo giorno; nonché l'influsso grave che queste prese di posizione hanno sulla crescita dell'antisemitismo. Ma Netanyahu col suo ufficio suggeriscono qui la consapevolezza del grande gioco nuovo, della trama americana nella regione, della consistenza dell'alleanza con Trump legata però alla propria autonomia, alla forza gestita tutta in proprio, mentre si tiene però conto di Witkoff e dell'interesse americano nella vicenda dei rapiti.
A Doha, una delegazione israeliana non era mai stata confermata per una settimana, come adesso; e mai si era venuti a sapere da «ufficiali» qatarini coinvolti nell'operazione, che si sono sentite pressanti richieste americane e israeliane perché Hamas si sbrighi a rispondere, senza tirarla più in lungo: mollate, è il messaggio, o i carri armati entreranno entro 48 ore, la suddivisione della Striscia in tre parti sarà una realtà, la vostra espulsione o eliminazione è questione di ore. Non c'è più tempo. La roulette gira. L'ultima volta in cui Netanyahu dovette annunciare che Hamas aveva rifiutato l'accordo perché non gli veniva data la cessazione della guerra in cambio di qualche rapito, è stato il 19 aprile. Poco tempo fa. Ora l'America ha fatto la sua insistita apparizione non solo sull'accordo Witkoff, e Idan Alexander, ma con pressioni per aiuti umanitari, ora in via di realizzazione, e con uno scenario generale di rapporti con i Paesi arabi sunniti mai visto prima, basato sulla prospettiva di un grande business in cui la pacificazione è indispensabile. Non c'è posto negli investimenti di due trilioni dell'Arabia saudita e dell'Uae se continua la guerra a Gaza, e nemmeno per una Siria jihadista, o per gli Houthi fanatici, e nemmeno per gli ayatollah. Israele si muove avendo capito che anche la guerra sta qua dentro, ma che intanto deve dimostrare che non cede a nessuna logica esterna ai suoi interessi. Di cui il primo, è la sopravvivenza: Israele deve concludere alla svelta e mettersi in condizione di far parte della nuova storia del Medioriente, ma senza cedere niente. Adesso, quando Netanyahu dice: «Se ci darete i rapiti e vi arrenderete noi smettiamo di combattere» il futuro resta imprevedibile; Hamas non agisce secondo la logica dei manuali di guerra, ma secondo la determinazione islamista a distruggere Israele.
Bibi chiedendo il disarmo di Hamas mentre prepara la frazione della zona in tre parti, disegna una nuova prova di forza dal cui successo, se ce ne sarà necessità, dipende la fragile esistenza stessa dello Stato degli Ebrei; ma potrebbe derivarne anche il cessate il fuoco tanto desiderato, se i rapiti torneranno e si consegneranno le armi, o almeno buona parte di esse. Israele è come Yuval Raphael: piccola, scampata alla morte, forte nella sua determinazione, con la bandiera in mano e molta capacità nel giuoco.
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