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Bielorussia, lo schiaffo Ue "Sanzioni e nuove elezioni"

Bruxelles non riconosce Lukashenko e chiede di tornare al voto. La Lega si astiene, polemiche

Bielorussia, lo schiaffo Ue "Sanzioni e nuove elezioni"

La notizia era già nell'aria da alcuni giorni, ma ieri ha avuto tutti i crismi dell'ufficialità: il Parlamento europeo ha respinto i risultati ufficiali delle elezioni presidenziali che si sono svolte in Bielorussia il 9 agosto. Nel testo della risoluzione, adottata con 574 sì, 37 no e 82 astensioni, si legge che «la tornata elettorale si è svolta in flagrante violazione di tutti gli standard riconosciuti a livello internazionale. Una volta scaduto il 5 novembre il mandato del leader autoritario uscente Alexandr Lukashenko, l'Ue non lo riconoscerà più come presidente del Paese». Il Parlamento europeo ha chiesto sanzioni contro Lukashenko, condannando allo stesso tempo le violente repressioni dei manifestanti. La votazione in sede europea ha aperto tra l'altro un caso politico in Italia. La Lega si è infatti astenuta sulla risoluzione, a favore del testo invece Forza Italia, Fratelli d'Italia, Partito Democratico e Movimento 5 Stelle. Secondo il Pd Salvini non vorrebbe scontentare Putin.

Al termine della votazione, la presidente della Commissione Europea Ursula Von der Leyen, nel suo discorso durante la plenaria, si è espressa con toni accesi: «L'Ue è dalla parte del popolo e difenderà a spada tratta qualsiasi percorso democratico. I bielorussi devono essere liberi di decidere sul loro futuro da soli. Non sono pedine sulla scacchiera di qualcun altro». Le reazioni da parte di Minsk non si sono fatte attendere. Attraverso una nota degli uffici presidenziali, Lukashenko ha spiegato di non aver alcuna intenzione di lasciare la propria carica e rinunciare al potere. «La risoluzione dell'Unione Europea è al tempo stesso sorprendente e aggressiva - si legge nel comunicato - è un'accozzaglia di pseudo-tesi prive di equilibrio». Tutto questo è accaduto appena tre giorni dopo il summit di Sochi tra Lukashenko e Putin. La visita si è conclusa con la promessa del leader russo di concedere a Lukashenko un prestito di 1,5 miliardi di dollari per rilanciare l'economia del paese. Si è discusso anche della proposta di riforma costituzionale in Bielorussia avanzata dal dittatore: proposta che piace molto a Putin, ma che è stata fortemente criticata dall'opposizione e dai manifestanti bielorussi e considerata un'inutile vetrina priva di sostanza reale.

Lukashenko sfida quindi l'Ue facendo leva su Putin, ma proprio a Sochi potrebbe aver firmato la sua condanna a morte politica. Se è vero che il Cremlino ha già predisposto, al confine tra i due stati, una riserva di militari pronti a intervenire nel caso in cui le manifestazioni diventino meno gestibili, è altrettanto acclarato che Putin voglia approfittare della situazione di incertezza della Bielorussia per poter far valere gli accordi siglati nel 1997 secondo i quali tra i due paesi vige un'unione fiscale, politica ed economica. Il prestito miliardario potrebbe far cambiare gli equilibri, e il peso di Mosca sul paese governato da Lukashenko diventerebbe insostenibile. Secondo alcuni analisti, Putin punterebbe a una sorta di annessione de facto della Bielorussia: formalmente i due stati sarebbero separati, ma Minsk verrebbe controllata dal governo russo e Lukashenko rimpiazzato da un uomo di fiducia del Cremlino. Senza dimenticare che Putin non sembra affatto intenzionato ad alimentare uno scontro frontale politico con Bruxelles.

Incurante della risoluzione dell'Ue, il dittatore bielorusso continua nella opera di annientamento delle opposizioni. Maria Kolesnikova, la rappresentante del Consiglio di coordinamento bielorusso, arrestata settimana scorsa mentre le autorità tentavano di deportarla in Ucraina, è stata incriminata con l'accusa di attentato alla sicurezza nazionale. Rischia da due a cinque anni di carcere.

L'altra primula rossa bielorussa, Svetlana Tikhanovskaya, sarà invece ospite lunedì mattina a Bruxelles dell'alto rappresentante Ue Josep Borrell.

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