D opo l'ubriacatura del Vinitaly parliamo di birre. Quelle artigianali. Quelle che «lo famo strano». Quelle che vanno di moda da anni presso un pubblico giovane, colto, curioso, a volte un po' snob.
Le mode del resto hanno questo di brutto. Che trascinano con sé bello e brutto senza che sia facile distinguere. E infatti talora i prodotti artigianali fanno rimpiangere le rinfrescanti lager industriali, nella loro onesta mancanza di pretese e nel loro prezzo basso da supermercato.
La legge
Quindi facciamo un po' di chiarezza. Si definisce birra artigianale quella prodotta da un birrificio di piccole dimesioni (di solito 10mila ettolitri l'anno anche se diverse realtà superano di gran lunga questa soglia), che si distingue da quelli che lo fanno su scala industriale e sotto l'ombrello di un grande marchio. A volte capita che un birrificio passi da una categoria all'altra: è accaduto tre anni fa a Birra del Borgo, magnifica realtà di Borgorose, nel reatino, acquisita dalla multinazionale Ab Imbev. La notizia scandalizzò i bempensanti, che intravidero l'inizio della fine della cultura della birra elitaria, ma in realtà a distanza di tempo va detto che il marchio di Leonardo Di Vincenzo continua a lavorare con lo spirito antico, non si è ingigantito più di tanto e soprattutto continua a fare grandi birre.
La dimostrazione che i confini tra artigianalità e industrialità sono spesso labili. Del resto anche i grandi marchi si sono messi a produrre etichette di ricerca, destinate a sedurre il pubblico che ama i prodotti di nicchia e con caratteristiche organolettiche quasi «da vino».
La legge identifica tre tipologie di birrifici artigianali. I microbirrifici; i «brewpub», che producono birre destinate per lo più alla somministrazione nel proprio locale; i «beer firm», vecchi impianti rivitalizzati da privati che li prendono in affitto. In Italia (il dato è del 31 dicembre 2017) sono in tutto 1483, per la metà (765) appartenenti alla prima categoria.
L'universo delle birre artigianali è immenso, per stilistica, tecniche e ingredienti. Questi ultimi sono i più vari sia come materia fermentabile sia come aromi. Anche le tecniche sono molto differenti, e sempre più spesso si accavallano a quelle del vino, come l'utilizzo di mosto d'uva o di botti di legno per l'affinamento o della rifermentazione in bottiglia.
Gli stili
Gli stili birrari sono fondamentalmente tre, anche se poi al loro interno esistono varie catogorie: le Lager, le Ale e le Lambic. Le Lager, ovvero quelle a bassa fermentazione, generalmente poco alcoliche e chiare, comprendono le European Light Lager (tra cui la notissima Pilsner, nata in Boemia, che ha una gradazione di 4,4° e un gusto dissetante e luppolato), le American Light Lager, le German Light Lager (tra cui la classica Maerzen da Oktoberfest), le piuù scure European Dark Lager e le Bock, forti, ambrate, dal forte sapore di malto e tostato. Le Ale sono le birre ad alta fermentazione, dolci e fruttate: tra esse si classificano le Pale Ale, tipicamente britanniche; le India Pale Ale (Ipa), di gran moda, pesantemente luppolate; le Scottish Ale; le Light Ale; le British Bitter; le Brown Ale; le Strong Ale; le Belgina Ale; le French Ale; le Porter; le Stoute le Weizen (o Weiss), che utilizzano prevalentemente frumento, hanno un piacevole gusto di chiodi di garofano, banana, agrumi ed erbe e rappresentano spesso l'entry level per chi si voglia avvicinare al mondo della «altre» birre. Infine le Lambic, prodotte esclusivamente in una zona del Belgio con fermentazione spontane; il loro gusto è talmente acido da essere spesso mischiate con birre giovani (Gueuze) o aromatizzate con sciroppi di birra (Fruit Beer).
I marchi
Veniamo ora ai più importanti birrifici artigianali italiani. Il più importante non per quantità prodotte ma per l'infulenza che ha avuto su tutto il movimento italiano è certamente la piemontese Baladin di Teo Musso, considerato una sorta di guru della birra artigianale. Nel 1986 nasce la birreria poi diventata «brew pub» e nel 1997 ecco «Super», la prima birra imbottigliata. Seguiranno tanti altri prodotti tra cui la «Open», la prima birra «open source» con la ricetta messa a disposizione di tutti.
Altri grandi-piccoli birrifici italiani sono, da Nord a Sud, l'alessandrina Canediguerra, e sempre in Piemonte Loverbeer a Marentino (Torino) ed Elvo a Graglia nel Biellese, il Birrificio Italiano di Milano e sempre nel capoluogo lombardo quel Birrificio Lambrate che ha sdoganato la lingua meneghina nelle etichette (come Robb de Matt e Fa Bala' l'Oeucc); Extraomnes creato da Luigi D'Amelio a Marnate, nel varesotto; Vetra a Caronno Pertusella (Varese); Elav a Comun Nuovo (Bergamo); in Trentino Val Rendena a Pinzolo; Cr/ak a Campodarsego nel Padovano; Toccalmatto a Fidenza in provincia di Parma; Brùton a Lucca in
Toscana; Hilltop a Bassano Romano in provincia di Viterbo; in provincia di Pesaro, ad Apecchio, le Tenute Collesi; al Sud Birranova e Birra Salento in Puglia e Barley in Sardegna. E ci perdoni chi non siamo iusciti a citare.