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Bivio Repubblicano: cedere alle sirene di Macron decadente o diventare lepenisti

Vent'anni dopo, i "cattivi" di Marine possono mangiarsi i "buoni" di Chirac

Bivio Repubblicano: cedere alle sirene di Macron decadente o diventare lepenisti
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Il titolo di un libro, il titolo di un film, a volte spiegano quello che sta accadendo in Francia, più di mille analisi sociopolitiche. Vent'anni dopo è il primo e permette di capire la fine del gollismo, ovvero dei Républicains che nel tempo ne presero il posto. Kagemusha. L'ombra del guerriero è il secondo e spiega Emmanuel Macron e la Macronie, ovvero la storia di un sosia che si finge quello che non è e racconta una nazione che non c'è.

Procediamo con ordine. È il 2002 quando Jacques Chirac, uno che de Gaulle lo ha conosciuto, chiama i francesi al plebiscito nel ballottaggio che lo oppone a Jean Marie Le Pen, la «destra buona» che si oppone alla «destra cattiva». Otterrà più dell'80 per cento dei voti, con quasi l'ottanta per cento dei votanti.

Da allora, e nonostante l'effimera parentesi politico-presidenziale di Nicolas Sarkosy, non a caso soprannominato «l'americain», l'americano, i repubblicani non riescono più a incarnare quella «certa idea della Francia», di matrice gollista, che è stata loro propria e, soprattutto, quell'essere il perno di un'alternanza politica che vede il pendolo oscillare da destra a sinistra e viceversa. Il tempo sta cambiando la Francia, ma loro non se ne sono accorti.

L'entrata in scena di Emmanuel Macron, alle presidenziali del 2019, se da un lato sancisce che le famiglie politiche tradizionali transalpine non esistono più, dall'altro mostra che il «cordone sanitario» contro la «destra cattiva» comincia a mostrare segni d'usura. Già, perché la «destra cattiva» continua a esistere, Marine Le Pen ha preso il posto del padre ed è lei ad andare al ballottaggio contro il giovane tecnocrate che ha abbandonato il Partito socialista al suo destino. Macron vince, ma per quanto vinca bene, resta lontano di un buon quindici punti dal plebiscito chirachiano, e con un dieci per cento di votanti in meno. La storia si ripete alle elezioni successive, quelle del 2022, ma con altri otto punti in meno, il 58 per cento circa, e un numero di votanti in discesa. L'unica cosa rimasta costante sono le schede nulle o bianche, più di quattro milioni...

Che ne è stato intanto dei repubblicani? Alle ultime presidenziali hanno raggiunto a malapena il 5 per cento e insomma vent'anni dopo la «destra cattiva» si è mangiata la «destra buona», il che vuole semplicemente dire che il Paese è più avanti rispetto a quello che i politici repubblicani si sono sempre ostinati a pensare e che insomma una «nuova destra» ha preso il posto di quella «vecchia» che non aveva più né arte né parte.

Vent'anni dopo, altresì, stando a queste ultime elezioni europee, il partito di Marine Le Pen, il Rassemblement National, è arrivato in testa in quasi tutto il territorio, esclusion fatta, tranne Nizza e Marsiglia, per le grandi città: è insomma un fenomeno nazionale, che abbraccia tutte le classi e tutte le età, e traduce, come ha scritto Le Monde, «un malessere sociale» che non è più riassumibile nelle accuse di xenofobia, razzismo eccetera. Ha a che fare con la crisi di un sistema che i francesi sentono sulla loro pelle e che investe tutti i settori, dai trasporti alla sanità all'istruzione ai servizi pubblici.

Stando così le cose, ha poco senso chiedersi se i repubblicani accetteranno o meno di allearsi con la «nuova destra» lepenista alle prossime legislative di fine giugno. Il loro ciclo è finito e quello che tutt'al più li può attendere è un trasbordo su quella zattera della Medusa che è Macronie, ovvero la Francia che non c'è.

Qui veniamo al secondo titolo, ovvero a Kagemusha. L'ombra del guerriero. Macron è in qualche modo ossessionato da de Gaulle, dal suo ruolo salvifico, dalla «grandeur»... Lo affascinano i summit, i discorsi, le consacrazioni e le celebrazioni. Lo si vede da come si espone in politica estera, da un'ansia di protagonismo che ne percorre ogni gesto. È però un presidente sempre più in caduta libera nei sondaggi, una soglia di impopolarità ormai impressionate. Si era presentato come un manager efficiente e liberale, non è riuscito a portare a termine nessuna riforma, si è via via scontrato con tutti i settori economico-sociali del Paese, brucia i suoi primi ministri scambiando il ricambio con l'efficienza.

È ambizioso, ma non ha alle spalle una storia che lo sorregga, e purtroppo per lui e per la Francia le sue spalle non sono in grado di reggere una storia, che è poi la storia di una decadenza, più grande di lui. Come Kagemusha, disarcionato dal cavallo del defunto imperatore che si era illuso di poter montare...

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