Blair boccia le politiche green. "Così sono destinate a fallire"

L'ex premier inglese contro i limiti ai consumi e l'eliminazione dei fossili. Bufera sul suo report

Blair boccia le politiche green. "Così sono destinate a fallire"
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«Qualsiasi strategia basata sull'eliminazione graduale dei combustibili fossili nel breve termine o sulla limitazione dei consumi è una strategia destinata a fallire». Tony Blair torna nel dibattito pubblico creando nuovo scompiglio per le sue posizioni fuori dal coro in tema di politiche green. Le sue considerazioni imbarazzano e indispettiscono la sinistra e sollevano anche il sospetto che le collaborazioni dell'ex primo ministro britannico con le petromonarchie del mondo e le sue consulenze milionarie per il regime saudita di Bin Salman abbiano condizionato il contenuto del lavoro dell'organizzazione che porta il suo nome.

A fare rumore è il rapporto dal titolo «Il paradosso del clima. Perché è necessario resettare l'azione sul cambiamento climatico», un testo attraverso cui il Tony Blair Institute for Global Change (Tbi), l'organizzazione no-profit fondata dall'ex premier inglese, sottolinea senza mezzi termini come sul tema «troppo spesso i leader politici temono di dire ciò che molti sanno essere vero: l'approccio attuale non funziona».

L'Istituto no-profit di Blair è tranchant quando spiega che il consumo di combustibili fossili nel mondo crescerà fino al 2030. Se nel 2023 ad alimentare il surriscaldamento globale sono stati Cina, India e Stati Uniti con il 49% di emissioni, in futuro gran parte delle emissioni globali arriverà da Cina, India e Sud-Est asiatico. Non solo: «Il traffico aereo raddoppierà nei prossimi vent'anni e l'urbanizzazione determinerà un aumento del 40% nella domanda di acciaio e del 50% nella domanda di cemento, fattori di produzione essenziali per lo sviluppo, ma materiali con un impatto significativo sulle emissioni». La conclusione? Il dibattito su questi temi è diventato «irrazionale», «allarmista» e «la gente si sta allontanando dalla politica di gestisce della questione perché crede che le soluzioni proposte non siano fondate su buone politiche». E se i Paesi in via di sviluppo chiedono di potersi concedere ciò che ha consentito a tutti gli altri di crescere negli anni passati, nei paesi sviluppati, invece, «gli elettori hanno la sensazione che venga chiesto loro di fare sacrifici finanziari e di cambiare il proprio stile di vita, sapendo che il loro impatto sulle emissioni globali è minimo». Il report definisce le attuali soluzioni politiche «inadeguate», le accusa di «distorcere il dibattito» spingendolo «a cercare una piattaforma climatica irrealistica e quindi impraticabile».

Si tratta di posizioni inattese, se si considera che Blair è stato il primo ministro di maggior successo del Labour britannico, per molto tempo un faro della sinistra mondiale (prima che gli elettori inglesi ne rigettassero l'eredità a causa della guerra in Irak e delle sue conseguenze in Medio Oriente). Dopo la polemica sul report e l'accusa di sposare le posizioni della destra mondiale, compresa quella dei Conservatori inglesi e di Nigel Farage, l'ex primo ministro ha precisato di non aver voluto attaccare il governo di Keir Starmer e che l'approccio dell'esecutivo, l'obiettivo emissioni zero per il 2050, resta «quello giusto».

Ma qualcuno non si stupisce della linea blairiana. Tra le consulenze offerte da Blair ad almeno 40 governi nel mondo figurano molte dittature, che hanno reso l'ex premier straricco (nel 2023 i ricavi annui dell'istituto ammontavano a 140 milioni di dollari, triplicati rispetto a tre anni prima.

Attivisti per il clima come Lord Nicholas Stern accusano il rapporto di minimizzare la scienza, «mancando di senso di urgenza e di consapevolezza della necessità che il mondo raggiunga l'obiettivo di zero emissioni nette il prima possibile».

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