La Boldrini getta la maschera "Torno a sinistra con Grasso"

La presidente della Camera si unisce a Liberi e uguali «Saremo una forza di governo». E D'Alema esulta

La Boldrini getta la maschera "Torno a sinistra con Grasso"

Il partito dei presidenti delle Camere. Quello del Senato, Pietro Grasso, nel ruolo di leader, e adesso la Boldrini che scioglie le riserve - dopo mesi di perlustrazione tra Pisapia, bersaniani e Pd - e annuncia di unirsi anche lei a «Liberi e Uguali», con cui proverà a farsi rieleggere in Parlamento. «Ho iniziato a stare a sinistra prima della legislatura e continuerò a farlo anche dopo» spiega la presidente della Camera, che ne approfitta per riproporre il suo cavallo di battaglia, la causa femminista: «Noi donne siamo il 51%, siamo stanche di essere considerate un'esigua minoranza, dobbiamo contare di più. Noi dobbiamo esigere più rispetto». La Boldrini ha obiettivi ambiziosi per il neopartito di sinistra: «Creare un centrosinistra rinnovato», «arrivare a una forza aperta, inclusiva e di governo». Insomma, dopo la terza carica dello Stato, l'ex portavoce dell'Unhcr punta ad arrivare al governo.

Il nuovo compagno di partito Massimo D'Alema festeggia il suo arrivo come un acquisto di «grande valore», per «il rilievo della sua personalità» e «la straordinaria passione con cui si è sempre battuta per i diritti umani». Per i voti che può portare a Liberi e uguali, invece, è tutto da vedere. La popolarità non sembra tra le doti della Boldrini. Nei sondaggi sui leader della politica italiana la presidente della Camera non viene neppure presa in considerazione, nei rari casi, come in una rilevazione dell'Istituto Piepoli di fine novembre («Leader della politica alla prova del marketing elettorale»), alla domanda sulla soddisfazione del «prodotto» Boldrini, in sette su dieci rispondono negativamente.

Il suo quinquennio al timone di Montecitorio non ha lasciato tracce memorabili, se si eccettuano i temi che le hanno fatto guadagnare appunto l'antipatia di una fetta dell'opinione pubblica (tanto da dover annunciare querele a pioggia per le moltitudini di odiatori che la insultano su internet). Ovvero la propaganda pro-migranti, suo marchio di fabbrica, e poi quella per l'«uguaglianza di genere», compresa la modifica di termini della lingua italiana usati al maschile anche per le donne (bisogna dire «sindaca» e «ministra», non «sindaco» e «ministro»). Il vero miracolo lo ha fatto facendosi eleggere presidente della Camera, dopo essere finita nelle liste di Sel senza passare dalle primarie, e quindi «nominata» deputato col Porcellum senza neppure il disturbo di dover prendere voti.

Il suo nome per la presidenza è spuntato nella breve parentesi in cui il Pd di Bersani cercava una maggioranza in Parlamento guardando a Sel e ammiccando pure al M5s (che applaudì la sua elezione), una stagione morta prima di nascere, ma che la Boldrini ha avuto la fortuna di poter sfruttare per proiettarsi - senza la minima esperienza politica - nello scranno più altro della Camera. Da lì in poi, la Boldrini si è ritagliata il ruolo di madrina dei diritti umani, riuscendo a conquistarsi antipatie bipartisan, malgrado lo sforzo del suo staff di renderla simpatica (indimenticabile il video in cui l'assistente le dice «sorridi!» mentre parla alle telecamere con la consueta espressione tra l'imbronciato e la maestra che annuncia la nota). Agli inizi, nel 2013, eccola partecipare al Gay Pride, prima volta in assoluto per un presidente della Camera.

E poi la crociata per gli immigrati che portano «uno stile di vita che presto sarà molto diffuso per tutti noi», la battaglia contro Miss Italia fatta cancellare dalla Rai («Le ragazze italiane debbono poter andare in tv senza sfilare con un numero»), quella contro i monumenti del Ventennio, l'Islam «religione di pace» mai citato nei commenti sulle stragi terroristiche (siamo noi occidentali che «abbiamo seminato odio, abbiamo creato contrapposizione»). E poi la tragicomica battaglia per femminilizzare il vocabolario a suo dire sessista.

«Se il sogno finale è il modello Iotti, l'avvio è piuttosto marcato dal modello Manu Chao» ironizzò il Foglio, ribattezzandola «la badessa di Montecitorio». Dopo cinque anni al vertice della Camera, chiederà un posto di riguardo nelle liste di Leu, con elezione assicurata. Sempre che arrivino anche i voti.

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