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La bomba di Letta scuote il governo: "Adesso lo ius soli". No del centrodestra

Il neo leader Pd debutta con una proposta divisiva. Plauso da sinistra. Forza Italia: "Non è la priorità". Salvini: "Basta con le cavolate". Meloni: "Non governiamo con questa gente..."

La bomba di Letta scuote il governo: "Adesso lo ius soli". No del centrodestra

Il passo non è democristiano, almeno secondo l'accezione in cui a trionfare è l'et et, o il non scontentare nessuno. Identitario, non strizza l'occhio alla destra. Anzi, Enrico Letta ricomincia da dove aveva lasciato nel febbraio 2014 come presidente del Consiglio di un governo di unità nazionale noto anche per l'operazione Mare nostrum, aerei, droni, navi della Marina e dell'Aeronautica militare nel Canale di Sicilia, per salvare vite in mare e arrestare trafficanti di uomini. È finita come è finita: onorificenze e mostre all'Onu, trasformazione di Mare nostrum nell'europea e fallimentare Frontex, il gelido cambio della campanella con Matteo Renzi.

Ora Letta riparte dai migranti, proponendo tra gli obiettivi del suo Pd lo ius soli, il diritto alla cittadinanza dei bambini nati in Italia. Tema divisivo ma caro anche a Renzi, che più volte ha detto di essersi pentito della mancanza di coraggio sua e del centrosinistra quando era presidente del consiglio e anche dopo, con il governo Gentiloni, benché forse non basterà questo a riavvicinare i due.

Nonostante il Pd sia tra gli azionisti di maggioranza del governo di unità nazionale, la proposta sul diritto di cittadinanza è uno spartiacque politico chiaro e divide chi sta di qua e chi di là, secondo una logica di coalizione per altro gradita a molti. «Salvini e Meloni hanno detto mai. Questo vuol dire che c'è una differenza di fondo molto marcata» spiegherà più tardi il neo segretario a Che tempo che fa.

«Il governo di Draghi è il nostro governo» dice Letta, che non lancia una proposta per i democratici di domani, ma si rivolge al presidente del Consiglio: «Sarebbe molto importante se questo tempo del governo Draghi, il governo di tutti insieme, il governo in cui si faranno meno polemiche, fosse il periodo in cui finalmente nascesse la normativa di civiltà dello ius soli, che io voglio rilanciare».

Se non esistesse il precedente di Gianfranco Fini, che sullo ius soli frantumò il Pdl, si potrebbe semplificare, definendolo un dogma della sinistra. Oggi gli schieramenti sono netti e le reazioni automatiche, senza neanche discutere se si tratti di uno ius soli temperato (dalla frequenza a scuola o dalla conoscenza della lingua o da entrambe le cose).

Sì da Leu, Pd, in parte dal M5S, con gli auguri di Giuseppe Conte, che da Assisi nel marzo dello scorso anno aveva anche lui aperto uno spiraglio allo ius soli. Secco il no della Lega («non perdiamo tempo in cavolate» taglia corto Matteo Salvini) e di Fdi («poi ci chiedono di governare con questa gente» dice Giorgia Meloni), mentre in Forza Italia prevale una posizione più di metodo che di merito, ovvero che mentre gli sforzi sono concentrati sulla pandemia, lo ius soli, come sostiene il capogruppo dei deputati, Roberto Occhiuto, «è l'ultima delle priorità». Non fa parte del programma Draghi, altra obiezione della presidente dei senatori azzurri, Anna Maria Bernini, a cui Matteo Orfini del Pd fa da contrappunto con «il governo non è un fine ma uno strumento».

Nel suo discorso di insediamento, Draghi ha parlato di migrazioni in una prospettiva Ue, per «la costruzione di una politica europea dei rimpatri dei non aventi diritto alla protezione internazionale, accanto al pieno rispetto dei diritti dei rifugiati».

Nulla ha detto sul fronte interno, così la proposta è anche per lui, soprattutto se il Pd deciderà di farne una battaglia di principio.

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