Da Bruxelles, al termine del vertice Ue, Paolo Gentiloni stende una mano protettiva su Maria Elena Boschi.
«Ha chiarito le circostanze emerse durante l'audizione del presidente della Consob», ripete il premier. «Sarà candidata per il Pd, e spero abbia successo», aggiunge. Di dimissioni non si parla neppure. Una difesa più dovuta che appassionata, dietro la quale si intuisce che veder riesplodere il caso Etruria alla vigilia del voto, con la sottosegretaria di nuovo nel mirino e lo stesso governo sotto tiro, non fa per nulla piacere a Gentiloni. Il quale, del resto, non si aspettava niente di buono da quella commissione d'inchiesta, fortemente voluta da Matteo Renzi e rapidamente trasformata in un Circo Barnum pre-elettorale, in cui le diverse fazioni politiche lottano nel fango. E il premier cerca di dare l'altolà: «Mi auguro che le prossime settimane non siano dominate da bisticci sulle banche: non mi sembra l'aspettativa maggiore dei cittadini», dice secco.
Ma difficilmente Gentiloni sarà accontentato, e dalle prossime audizioni della Commissione continueranno ad uscire miasmi elettorali. Con la Boschi sempre in ballo. I nemici del Pd si fregano le mani per il pasticcio e provano a trarne il massimo profitto possibile: la LeU di Grasso e D'Alema chiede che la Boschi venga audita: «È evidente e urgente la necessità di sentirla», dicono. Ma il calendario della Commissione è ormai chiuso, per sopravvenuta fine della legislatura. I grillini, in una raffica di dichiarazioni preconfezionate dall'ufficio stampa, continuano ad additare la Boschi come «il nuovo Mario Chiesa», l'uomo il cui arresto diede il via a Mani Pulite.
In un'intervista difensiva su Repubblica, ieri, la sottosegretaria metteva le mani avanti su episodi che nei prossimi giorni verranno fritti e rifritti nel padellone della Commissione banche: l'incontro (a casa del padre) con Consoli di Veneto Banca e quello con Ghizzoni di Unicredit. Boschi li conferma, e sottolinea che non sono stati l'occasione per fare alcuna «pressione» su Etruria, e che non c'è stato nessun conflitto di interessi: «In cosa avrei favorito mio padre che, grazie al governo di cui facevo parte, è stato mandato a casa, né più né meno degli altri membri del cda?», chiede. Consoli, audito in commissione, conferma la sua versione. Ghizzoni è atteso il 20 dicembre, e si vedrà. Per Orfini, la preoccupazione per la fusione Etruria-Vicenza caldeggiata da Bankitalia era «sacrosanta». Nel frattempo, anche il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan scende in campo a favore della sottosegretaria: «Dal 2014 - ricorda - abbiamo cambiato regole del gioco dopo anni di immobilismo che avevano favorito opacità su banche; affrontato 8 crisi nate dalla recessione e in alcuni casi da presumibile mala gestio; protetto risparmiatori e contribuenti. Senza interferenze, come ha ricordato Maria Elena Boschi».
Difesa con passione anche da Carlo Calenda, che nega ci sia alcun bisogno di dimissioni e aggiunge: «L'idea che la commissione di inchiesta sulle banche diventi la commissione di inchiesta sulla Boschi mi sembra una roba assurda. Quello che è un dato di fatto è che ieri Vegas è riuscito a distrarre l'attenzione da quelle che sono le sue responsabilità, e sono responsabilità vere».
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