Vivandiera di Aldo Moro. Benefattrice quasi, donna sensibile, negli ultimi anni tesa ad assistere i detenuti e le loro famiglie in difficoltà, come il ritratto di una santa. Trattasi, però, di Braghetti Anna Laura che ha concluso la propria esistenza a 72 anni, dopo aver ucciso la vita giovane di due poliziotti e di un docente universitario. Resiste lo strano senso di perdono a inquilini di ideologie e movimenti rivoluzionari, estremisti, estremi di azione, assassini, brigatisti nella fattispecie, passati dalla cronaca quotidiana alla storia del Paese, vita violenta coperta dall'alibi di una lotta continua, intellettualoide e vigliacca fino all'ultimo colpo di pistola, la stessa che la Braghetti usò contro il giurista Vittorio Bachelet, colpevole di essere un democristiano, come altri sotto ricatto del terrorismo bicolore, nero e rosso. Sul primo nessun condono, nessuna revisione, sul secondo, il viscido tentativo di indulgere e giustificare i fuggitivi, narrati come esiliati.
Braghetti ha scontato la pena in carcere, mai ha avuto un totale ripensamento, il suo impegno nel sociale, post mortem altrui, non è stato indirizzato alle famiglie alle quali aveva tolto figli e mariti e padri; alle prigioni era stata condannata dal tribunale, non del popolo come quello codardo, il loro. Oggi, Braghetti viene raccontata come la donna che curava le vivande per Aldo Moro sequestrato e a lui accudiva, una Margherita Kaiser Parodi ma con il pugno chiuso, arruolatasi volontaria tra i brigatisti a differenza della crocerossina Parodi che, dopo la prima guerra, si spense a 21 anni per la febbre spagnola, contagiata negli ospedali di campo.
L'assassinio di Aldo Moro fu l'evento più drammatico di un'epoca terribile, Braghetti ne fu attrice, intestataria dell'alloggio di via Montalcini, sito della prigionia dello statista che dopo 55 giorni di angoscia, venne ucciso "il più alto atto di umanità possibile, in una società divisa in classi", secondo narrazione drogata di una pellicola cinematografica. La latitanza, dopo l'omicidio, non la convinse a pentimento, anzi ne accentuò lo spirito assassino, il 3 maggio del 79 Braghetti Anna Laura, fece irruzione nella sede della Democrazia Cristiana in piazza Nicosia a Roma, all'arrivo della polizia la sua reazione fu violenta, la sua pistola uccise gli agenti Antonio Mea e Piero Olianu. Anni di piombo, i peggiori della nostra vita, il 12 febbraio dell'80, Vittorio Bachelet cadde sotto i colpi, sette i proiettili, calibro Winchester 32, sparati dalla Braghetti, vestita di un loden chiaro, il professore rotolò lungo la scalinata dell'Università, il colpo di grazia alla nuca, lo portò con la Beretta 7,65, il complice, Seghetti Bruno, altro protagonista della lotta armata "Ascoltatemi bene, qui Brigate Rosse, Bachelet lo abbiamo giustiziato noi. Presto seguirà comunicato", la voce vigliacca informò con una telefonata Il Messaggero. Il tribunale condannò Braghetti all'ergastolo, per senso di appartenenza, sposò Gallinari Prospero, otto volte omicida, dirigente della colonna armata romana, attore del sequestro Moro. Da uno scritto della vivandiera, "Il Prigioniero", Marco Bellocchio trasse il film "Buongiorno, notte", il ruolo di Chiara sembra lo stesso vissuto dalla brigatista. Trovò conforto, per contrappasso, nelle parole di padre Adolfo Bachelet, fratello del docente ucciso, le fu dedicato un fumetto, Rosso è il perdono, sotto titolo "redenzione di una brigatista", ennesimo tentativo di pulire la storia.
La seconda vita della vivandiera non si è conclusa in carcere, dopo ventidue anni la libertà condizionale le fu offerta per un'altra esistenza tra scritture, interviste, assistenza non più nel covo, per una amnistia culturale.
Nessun senso di vergogna, assente l'indignazione però altrove. Loro, gli assassini, hanno scelto di finire in silenzio o di darsi alla fuga all'estero, come i criminali nazisti. La rivoluzione trasformata in compassione.