La brutta Milano dei prepotenti

Ecco i due volti della stessa città. Due fotografie a confronto. Una frattura insanabile

La brutta Milano dei prepotenti
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Milano, sabato pomeriggio. Dentro. Centinaia di lanterne di carta posate a terra. Le fiammelle delle candele a illuminare con luce tremante lo spazio fatto di preghiera dell'Armani/Teatro.

Fuori. I fumogeni rossi e bianchi scandiscono la rabbia dei centri sociali e della sinistra antagonista. Urla e slogan. Odio contro. La piazza della rabbia.

Dentro. Il profumo d'incenso e le note di Ludovico Einaudi. Spiragli di pace in mezzo al dolore. Lacrime e silenzio lungo la fila di gente che si muove ordinata. Un passo alla volta, quasi al rallentatore. Come in un film muto, in bianco e nero, d'altri tempi.

Fuori. Violenza verbale. Insulti e provocazioni. I petardi che squarciano l'aria e fomentano i manifestanti. E poi i tuorli arancioni delle uova che si rompono per macchiare le divise blu. Ancora odio. Contro le forze dell'ordine, contro le istituzioni, contro la città.

Dentro. La bara, immobile come se le lancette degli orologi si fossero fermate. E sopra, sul legno lucido, un mazzo di rose, tutte bianche. Da lontano sembra quasi di percepirne il profumo e la purezza. Lì a un passo un crocifisso. L'ultimo saluto.

Fuori. La prova di forza. L'inno all'occupazione. Lo sfregio allo Stato e alle sue leggi scritte. Sotto il vessillo del Leoncavallo sfrattato, l'orda prepotente di chi vuole la rivoluzione calpestando il sacrificio e la fatica di chi lavora.

Ecco i due volti della stessa città. Due fotografie a confronto. Una frattura insanabile. Da una parte i milanesi che, sin dal primo mattino, si sono messi in coda, diligentemente, chi in preghiera e chi semplicemente in silenzio, per dare l'ultimo saluto a Giorgio Armani. Non solo personaggi illustri. Anche gente comune che ha visto nel re della moda molto di più che uno stilista. Un esempio di operosità che ha saputo fare grande il nostro Paese, producendo e creando occupazione, nobilitando quel marchio che oggi passa sotto il nome di made in Italy e soprattutto ridefinendo il concetto di bellezza in tutto il mondo. Un tributo, dunque. Un tributo a un gigante che non ha mai dimenticato la sua città e il suo Paese. E che ha sempre lavorato per unire.

Dall'altra parte della barricata. In pieno centro, il corteo a sostegno del Leoncavallo e contro quei "padroni" che in questi anni hanno contribuito a fare grande Milano. Centri sociali ma non solo. L'urlo della prepotenza. E lo striscione, srotolato lungo il cantiere del Pirellino, con la scritta "Occupare è giusto". Petardi e fumogeni. Uova contro gli agenti e insulti al ministro dell'Interno Matteo Piantedosi. La pretesa violenta di chi pretende senza far fatica. E viene da chiedersi qual è il segno che questi vorrebbero lasciare alla nostra società.

Sicuramente non quello lasciato da Armani. E che in queste ore campeggia nella camera ardente: "Il segno che spero di lasciare è fatto di impegno, rispetto e attenzione per le persone e per la realtà. È da lì che tutto comincia".

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