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Quella bufala sulla mafia. Mai nessun favore ai clan

Dalle carte dell'inchiesta emerge che l'entourage di Toti non ha mai dato retta alle pressioni esterne

Quella bufala sulla mafia. Mai nessun favore ai clan

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Una, ce ne fosse una. Ma dalle carte dell'inchiesta della Procura di Genova che ha investito il governatore Giovanni Toti e il suo entourage, non una sola delle promesse che sarebbero state fatte ai «riesini», la colonia trapiantata nel capoluogo ligure da Riesi, provincia di Caltannissetta, in cambio dei suoi voti, risulta essere stata mantenuta. Né un appalto, né un appartamento, né un posto di lavoro. Zero. Se fossero stati mafiosi, sarebbe corso del sangue. Invece si limitano a imprecare tra di loro, come ogni elettore deluso: «Quando veniamo a Genova lo battezzo io!». Ma poi non succede niente.

Il voto di scambio imputato dai pm genovesi appare più che altro uno scambio a senso unico: i siciliani portano i voti, cento o duecento, e in cambio non ottengono niente. Le intercettazioni sono quasi disarmanti. Dopo il voto tre disoccupati vengono mandati da Maurizio Cozzani , capo di gabinetto di Toti, a fare dei colloqui con una ditta di lavori stradali, anche se il papà di uno fa sapere che «preferirebbe un lavoro al coperto». Ma i colloqui vanno male, e - si legge nei verbali - «il nuovo anno non si apre con le auspicate assunzioni», i familiari per un po' brontolano poi lasciano perdere, la ditta se la cava in burocratese: «sono porte che lasciamo socchiuse anche in un'ottica di una esigenza che non è istantanea». Un altro della comunità riesina ha la sciatica, vuole un posto da usciere, sommerge Carozzi di messaggi, alla fine il capo di gabinetto lo deve bannare. Un'infermiera vuole cambiare ospedale, un tizio vuole cambiare il suo alloggio popolare con uno «anche peggiorativo» più vicino ai parenti. Niente da fare, «prendo nota», «ti facciamo sapere».

Gli interfaccia tra Cozzani e la comunità riesina sono due gemelli che abitano da anni a Boltiere, vicino Bergamo, i Testa, dove Italo è consigliere comunale di centrodestra; l'altro, Arturo, è l'animatore della pagina Facebook «Riesini nel mondo», quattordicimila soci. Ultimo messaggio prima di venire arrestato, «Junciti cu chiddri miglia di tia e appizzaci li spisi». Sono loro, i Testa, a organizzare i pranzi della comunità per la lista Toti. Dei destinatari dei voti una, Ilaria Cavo, alla cena non si presenta nemmeno. Un altro, Stefano Anzalone, un ex poliziotto entrato in politica anni fa con l'Italia dei Valori, appena eletto stacca il telefono. Delusi e amareggiati, all'indomani del voto, i riesini di Genova si ripromettono per la prossima volta di cambiare registro, «adesso paghi pegno prima», e progettano (testuale) di organizzare «una cricca». Ma alle comunali 2022 devono accontentarsi di due consiglieri di zona.

Fin qua sembrerebbe una storia amara e un po' comica di politica quotidiana. Ma cosa c'entra la mafia? A contestare a Cozzani (ma non a Toti) l'aggravante del voto di scambio politico-mafioso la Procura di Genova arriva - visto che nessuno dei fratelli Testa ha precedenti penali - per deduzione ambientale: a Riesi la mafia esiste, a Genova c'è la colonia di Riesi, dunque. Però nessuno tra i partecipanti alle trattative faceva parte di Cosa Nostra. L'ostacolo viene aggirato puntando su un signore che si chiama Venanzio Maurici, e che è il cugino del figlio di Giacomo Maurici, presunto boss morto in carcere nel 2018. Venanzio ha alle spalle una denuncia per estorsione, che non risulta approdata a una condanna, e ha soprattutto un curriculum lontano da quello classico di un boss: ha fatto per tutta la vita il sindacalista della Cgil nella Fillea, il sindacato degli edili, è stato per cinque anni il rappresentante legale dell'organizzazione, adesso che è in pensione è il dirigente dello Spi Cgil di zona Ponente.

Però per quel prozio morto in carcere diventa l'anello di congiunzione tra la politica genovese e il mondo mafioso.

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