Politica

La burocrazia non batte la disoccupazione

In Italia vi è la necessità di favorire l'occupazione, dato che esiste un enorme potenziale inespresso

La burocrazia non batte la disoccupazione

In Italia vi è la necessità di favorire l'occupazione, dato che esiste un enorme potenziale inespresso. In tal senso fa bene il governo a considerare prioritaria la questione, muovendo dalla constatazione che abbiamo un altissimo numero di disoccupati: con la conseguenza che pochi attivi sono costretti a mantenere tutti gli altri. La GOL (Garanzia di occupabilità dei lavoratori), finanziata dall'esecutivo con una quantità impressionante di risorse provenienti dall'Unione (in totale, si arriverà a spendere circa 5 miliardi di euro), intende appunto di affrontare il tema proponendo di reinserire i lavoratori, aggiornali, riqualificarli, includerli entro reti territoriali e, infine, anche sostenerli nel loro insieme quando si tratti di crisi aziendali che interessano molti addetti. È attorno a questi cinque percorsi che si articolerà questa pianificazione governativa che intenderebbe risolvere alla radice il dramma del lavoro che manca.

Purtroppo tutta la «filosofia» di fondo di queste iniziative si basa su un assunto davvero molto debole. L'idea centrale è che i governanti e i loro consiglieri sappiano meglio di tutti noi (imprenditori, consumatori, lavoratori, eccetera) quali siano le questioni fondamentali da affrontare e cosa sia necessario fare. Se da un lato lo Stato già adesso dà lavoro a milioni persone e consegna un salario pure a molte altre (con il reddito di cittadinanza, ad esempio), con questi programmi realizzati d'accordo con le Regioni l'apparato pubblico intende investire con le proprie attività l'intero mondo delle aziende e dei lavoratori, individuando almeno 3 milioni di beneficiari entro il 2025. Soprattutto, esso si propone di definire di quali competenze ha bisogno un disoccupato e quali sono gli aiuti che deve ottenere.

Eppure il passato dovrebbe averci insegnato qualcosa. Non soltanto, infatti, lo Stato ha fallito ogni qual volta ha gestito imprese direttamente, ma anche quando ha assistito i senza lavoro («cronicizzandone» la condizione) e pure quando ha tentato di favorirne l'ingresso nel mondo produttivo. Quando leggiamo della necessità di riattivare i Centri per l'impiego è necessario ricordare come si sia di fronte a un fallimento epocale, a cui ha posto rimedio in parte la nascita di agenzie private chiamate a soddisfare le esigenze di imprese e lavoratori. La stessa cosa si può dire per gli innumerevoli corsi regionali pensati per qualificare quanti hanno bisogno di nuove conoscenze. Anche al netto dei troppi scandali (dalla Lombardia alla Sicilia, passando per tante altre regioni), è chiaro a tutti che quel fiume di denaro è senza dubbio servito alla politica e a quanti hanno saputo entrare nelle grazie degli assessori, ma non certo a coloro che avevano bisogno di acquisire competenze che permettessero loro di muoversi meglio sul mercato del lavoro. Le cifre messe in gioco da questa operazione immaginata dal ministro Andrea Orlando sono enormi, le logiche però sono vecchie; anzi, vecchissime. Si tratta di strategie che sono sempre fallite nel passato e falliranno ancora. Se l'obiettivo di aumentare gli occupati è giusto, un tale risultato può essere raggiunto solo se si comprende che le risorse vanno lasciate a chi le produce, le scelte su cosa studiare e dove indirizzare tempo e capitali vanno fatte da chi ha un vero interesse a operare bene (le imprese e i lavoratori). Politici e burocrati, insomma, devono starsene da parte.

La bassa occupazione italiana è figlia dello statalismo; non sarà lo statalismo a migliorare la situazione.

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