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"C'è un rapporto malato tra giustizia e politica. Barbarie rendere noti i dati sensibili di Matteo"

Il professore di Diritto costituzionale: "Sono favorevole al lodo Alfano, per le cariche istituzionali il processo va sospeso. In Francia funziona così"

"C'è un rapporto malato tra giustizia e politica. Barbarie rendere noti i dati sensibili di Matteo"

Le indagini sul caso della Fondazione Open animano il dibattito tra i giuristi. Un mondo dove ci si chiede quale sia il confine tra un processo in senso stretto ed un processo politico.

Il professor Alfonso Celotto ne fa anzitutto una questione di interferenze: «In Italia, da almeno una trentina d'anni, c'è un rapporto malsano tra politica e Giustizia», premette l'accademico, che ricorda il fuoco di fila cui sono stati sottoposti Giulio Andreotti, Bettino Craxi e Silvio Berlusconi. Il giurista rammenta pure la vicenda di Antonio Bassolino, con tanto di «diciannove assoluzioni». Poi la precisazione: «È giusto - annota - che anche i politici possano essere indagati. Non ci si dimentichi che candidato deriva da candidatus, che è proprio di chi indossa una toga trasparente». Per quanto il rapporto tra politica e Giustizia - specifica - «vada chiarito». Una delle questioni aperte riguarda il tema del finanziamento ai partiti, che è stato di fatto abolito. La politica ha bisogno di coperture economiche. Un altro nodo che, stando al punto di vista del costituzionalista, andrebbe sciolto: «Io, operaio, mi sottraggo al mio lavoro per fare politica e dunque devo avere i mezzi per poter fare propaganda. Altrimenti come faccio?».

La faccenda di Open, inoltre, è condita da almeno una particolarità: «In questo caso - dice il docente di Diritto Costituzionale - è proprio un processo alla politica. Non è più un processo ad un politico che ha fatto altre cose in ambito privato. Si tratta di un processo ad un politico che ha fatto politica in un certo modo. L'accusa - prosegue - verte su come è stata fatta politica. Non a caso i testimoni provengono dal mondo politico». Tra chi è stato chiamato a testimoniare dalla Procura di Firenze figurano Pier Luigi Bersani, Matteo Orfini, Rosy Bindi e Maurizio Martina. Giusto per fare qualche nome: «L'intreccio tra politica e giustizia - insiste l'accademico - giunge così al suo massimo livello».

Il giornalismo può metterci del suo. In che modo? Per esempio rendendo noto l'estratto conto di Matteo Renzi. Una scelta che è stata compiuta ieri dal Fatto Quotidiano: «Pubblicare l'estratto conto di una persona è una cosa che non si può fare - tuona il giurista - Esiste il diritto alla riservatezza. I politici posseggono già degli obblighi di pubblicazione, come per la dichiarazione dei redditi. Però gli atti d'indagine non andrebbero pubblicati. Comunque, nel caso di un estratto conto, siamo dinanzi a dati ultra-sensibili».

Di sgomento in giro per il metodo ce n'è. L'ex premier Matteo Renzi ha reagito subito, dando mandato ai suoi legali per «violazione reiterata di precetti costituzionali». Celotto, a questo punto, insiste sulla necessità di riformare la relazione tra Giustizia e politica: «Dico una cosa fuori moda: il famoso lodo Alfano è una misura plausibile. Nelle cariche di vertice, per determinati reati, il processo verrebbe sospeso sino al termine della carica. In Francia funziona così».

I concetti ripetuti più spesso dal professore sono due: «argine» e «contemperamento». «Altrimenti viene giù tutto», sentenzia. Capitolo Presidente della Repubblica: «Uno dei problemi che avrà il prossimo Capo dello Stato, in materia di Giustizia, riguarderà il Csm.

Il Presidente Sergio Mattarella ha avuto una serie di problemi con il Csm: dal caso Palamara in giù».

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