Cronache

È caccia ai complici che lo hanno aiutato

È caccia ai complici che lo hanno aiutato

Milano Il caso Battisti non è chiuso: anzi. L'anelito confessorio dell'ex terrorista dei Pac è destinato sicuramente, in un modo o nell'altro, a influire sul suo destino carcerario: e questo era sicuramente l'obiettivo di Battisti, quando ha deciso di rispondere alle domande del pm Alberto Nobili. Ma per rendere credibile la sua svolta, e soprattutto per trarne qualche vantaggio concreto, Battisti non poteva limitarsi ad ammettere quanto la giustizia italiana sapeva già perfettamente, ovvero il suo ruolo nelle esecuzioni firmate dai Pac. Avrebbe dovuto anche raccontare qualcosa di nuovo: non su quei delitti ormai remoti, ma su fatti ben più recenti. Ovvero sulla rete di complicità che ha accompagnato la sua latitanza.

«Battisti non ha fatto nomi», è stata fin dall'inizio la versione ufficiale. Il contenuto integrale dei verbali dei suoi interrogatori del 23 e 24 marzo dice che in realtà qualche indizio sui suoi complici in Bolivia e Brasile il killer lo ha fornito. Di fatto, nel corso degli incontri con il detenuto nel carcere di Sassari la Procura milanese ha incamerato, in un modo o nell'altro, tracce utili per arrivare a identificare chi ha coperto la lunga fuga di Battisti. Ed è significativo che gli interrogatori del detenuto siano avvenuti non con la Procura generale, che ha diretto le operazioni per la sua cattura, ma con il pm Nobili: è il magistrato che coordina il pool antiterrorismo della Procura milanese. E che all'indomani della cattura di Battisti aprì un fascicolo di indagine contro ignoti per favoreggiamento, con l'obiettivo proprio di dare un nome ai complici dell'assassino. É in questa inchiesta che sono confluiti i verbali di Battisti.

Finora le indagini di Nobili, basate sull'analisi della massa di intercettazioni compiute dalla Digos durante la lunga caccia, non erano arrivate (almeno ufficialmente) a incriminare nessuno: gli unici nomi che emergevano erano di parenti del latitante, che non sono accusabili. Ora segnali precisi dicono che, dopo la decisione di Battisti, questo troncone di indagine ha acquisito una nuova spinta e si apre a nuovi possibili scenari.

Dal punto di vista dell'ex fuggiasco, invece, vantaggi immediati dalla svolta non ne verranno: nella procedura davanti alla Corte d'appello, che punta a trasformare in trent'anni di reclusione i quattro ergastoli che Battisti deve scontare, le confessioni non entreranno nemmeno, perché lì si tratta solo di decidere se al caso vadano applicate le norme brasiliane che non prevedono il carcere a vita. Questione di procedura e basta, insomma. Ma una volta superato questo scoglio, e stabilito definitivamente quale sia la pena che deve essere eseguita, per Battisti si aprirà una fase in cui invece la valutazione della sua personalità e del suo comportamento dopo l'arresto sarà decisiva. Sarà il tribunale di sorveglianza a decidere le condizioni di vita di Battisti in carcere, a valutare di volta in volta le sue istanze e le sue richieste di accesso ai benefici. Se avesse scelto di fare l'irriducibile, Battisti avrebbe dovuto rassegnarsi a uscire di galera solo da morto.

Come tanti suoi compagni di lotta, ha deciso che la prospettiva non gli andava a genio.

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