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Caccia all'esecutivo che non c'è: si fa largo la sagoma di Giorgetti

Il nome del leghista ricorre nelle conversazioni di Palazzo. E Mattarella punta sul fattore tempo per trovare la quadra

Caccia all'esecutivo che non c'è: si fa largo la sagoma di Giorgetti

Quando nel Palazzo la confusione è grande, per orientarsi in quel labirinto delle trattative per la formazione di uno dei governi più difficili della storia della Repubblica, bisogna cercare qualche aneddoto in luoghi estranei alla politica. Vincenzo Scotti, ex ministro democristiano è il fondatore di quella specie di think tank del grillismo di governo che è l'università Link. Da lì provengono molti dei ministri presenti nella lista dell'ipotetico governo 5 Stelle, presentato da Di Maio alla vigilia delle elezioni, per cui quell'università, nata diversi anni fa, potrebbe essere definita una sorta di scuola di formazione per i grillini, come lo era tanti anni fa quella delle Frattocchie per il Pci. E in fondo a Scotti, soprannominato dagli altri capi dc Tarzan, per l'abilità con cui passava da una corrente all'altra, non dispiace aver trovato quella liana più lunga che lo ha portato fino ai 5 Stelle. «Come si fa - si chiede l'interessato - a non fare i conti con un realtà che rappresenta un terzo del Paese?!». E visto che c'è, il direttore delle Frattocchie grillina si lascia andare ad una previsione: «Francamente io non credo che i 5 Stelle facciano il governo con la Lega. Non so se altri abbiano informazioni più sicure delle mie, ma non credo: sul piano politico, culturale e sociale, i grillini sono l'alternativa alla Lega, come possono fare un governo insieme?».

Un altro aneddoto, che più o meno tende al pessimismo sulla formula «giallo-verde» di governo, lo trovi dalle parti della pallavolo, passione di Giancarlo Giorgetti, eminenza grigia del Carroccio. Parlando con qualche dirigente del settore, il personaggio che molti indicano come uno dei papabili per palazzo Chigi, ha confidato la sua delusione verso i grillini. «Con questi - si è sfogato - si rischia di non andare da nessuna parte. Mi sbaglierò, ma qui saremo costretti a guardare verso il Pd, magari per un governo guidato da un premier leghista». Contraddizioni. Mentre nel Palazzo si parla solo dell'accordo grillini-centrodestra, fuori sul tema c'è una sorta di pessimismo cosmico e si esplora altro. Ma anche chi è più addentro alle segrete stanze non è poi più sicuro come qualche giorno fa. Salvini fa i conti in tasca a Di Maio, per dimostrare che non ci sono altre strade. Mentre chi ha parlato con Berlusconi ieri mattina, lo ha trovato dubbioso: «Bisogna vedere se il treno partirà - ha ammesso - e se a noi convenga salirci sopra o meno». La verità è che siamo in pieno «surplace», mentre restano sul tappeto, due rebus, a prima vista, insolubili: Di Maio accetterà di fare un passo indietro, per dare via libera ad un altro candidato premier, visto che Salvini non potrà mai accettare di essere un suo vice? Ed ancora: i grillini saranno mai disposti a formare un governo, avendo in maggioranza anche Forza Italia? Questioni ineludibili, anche perché con la decisione del centrodestra di andare sul Colle con tre delegazioni autonome per fare il nome di Salvini, a cominciare da quella di Forza Italia guidata da Berlusconi, è evidente, al di là di ogni ipocrisia, che, semmai dovesse nascere un simile governo, i contraenti sarebbero tutti e tre i partiti del centrodestra e i grillini. Tutti, nessuno escluso: ognuno con le sue identità e con i suoi leader, compreso il Cav.

Ecco perché i più ottimisti nel Palazzo, come pure il capo dello Stato (le consultazioni al Quirinale andranno avanti un mese), si affidano alle qualità taumaturgiche del tempo. «Di Maio - osserva il leghista Roberto Calderoli - alla fine, per forza di cose, accetterà di non essere il premier». L'azzurro Marco Marin, si sbilancia ancora di più: «L'accordo è fatto. Di Maio ora perderà un po' di giorni e, poi, tornerà da noi. Magari per fare un governo che come premier abbia Giorgetti e non Salvini». Ragionamenti che tornano anche sulla bocca di Volpi, l'organizzatore della Lega al Sud. «I grillini - spiega - non sono un partito, sono un movimento. Bisogna dargli il tempo e vedrete che digeriranno la cosa. Magari, si beccheranno l'orso Giorgetti».

Ottimismo, appunto, fiducia nel fattore tempo, che per ora, però, non ha nessun riscontro nella realtà. L'unica cose vera è che Salvini sta corteggiando gli autonomisti, per tentare di assicurare al centrodestra una maggioranza autonoma al Senato. Mentre circolano un sacco di fantasie su Forza Italia: che ci siano trenta-quaranta parlamentari, pronti a fare un gruppo autonomo, che potrebbero staccarsi per assicurare una maggioranza ad un possibile governo giallo-verde, facendo venir meno l'idiosincrasia a Di Maio che non vuole una Forza Italia doc. Dentro ci sarebbe il disappunto di Romani, scontento per come sono andate le cose, per la presidenza del Senato, che ha minacciato di fare un altro partito. Oppure il protagonismo filo-leghista di Toti («ma non sarebbe certo questo il momento» ha confidato l'interessato ad un amico). E quant'altro. In realtà non è così. Semmai c'è la paura che, per assecondare a tutti i costi un governo 5 Stelle-centrodestra, Forza Italia rischi di essere tenuta ai margini e di diventare figlia di un Dio Minore, rappresentata in un simile esecutivo solo da ministri tecnici o da sottosegretari in gonnella. «Il governo - osserva l'azzurro Gianfranco Rotondi - per un politico è una chimica. Se tentano un'operazione del genere Forza Italia rischia di dividersi tra chi sta al governo e chi sta fuori. Un'altra esperienza Alfano ma con grillini e leghisti. Un governo di sciamannati. Ecco perché Salvini, semmai avesse in mente una cosa del genere, dovrebbe pensarci due volte: quella parte di Forza Italia tagliata fuori, cioè quella che rappresenta l'umore di quel 14% dell'elettorato, sarebbe spinta ad imboccare altre strade. Allora davvero si aprirebbe lo spazio per un partito alla Macron al centro, con la parte moderata del Pd». Ipotesi che paventano un po' tutti tra gli azzurri: dal consigliere del Cav, Sestino Giacomoni, a Brunetta, a Occhiuto.

Ma proprio per questo Salvini, che in questa fase post-elettorale si è mostrato quantomai sveglio, ha messo da parte, semmai le abbia immaginate, geometrie del genere. Almeno sembra. Per cui la ricerca del governo che non c'è per i tanti Peter Pan della politica, si muoverà su altri binari. C'è da vedere se Di Maio riacquisterà la ragione, imboccherà la strada del compromesso, per evitare di dimostrare che il voto ai 5 Stelle è un «voto inutile», perché non si traduce in un governo. E, sull'altro versante, se Renzi scenderà dal pero, dopo aver dimostrato di controllare i gruppi parlamentari del Pd. «Io - spiega l'ex-segretario del Pd - ho una quarantina di senatori e 70-80 deputati sulle mie posizioni. Qualunque accordo con il Pd deve passare necessariamente attraverso di me. Sono pronto a parlare con tutti. Anche con i grillini. Già, parlerei anche con loro se mi chiedessero consigli di politica. Ma qualora gli servissero i miei voti, devono essere loro a chiedermeli. Debbono passare per Rignano». Già, Ghino di Tacco si è trasferito dalla rocca di Radicofani a Rignano, ma sa benissimo che ai grillini il suo nome fa lo stesso effetto di quello del Cav: va di traverso. Per cui se scendesse dal pero guarderebbe sicuramente dall'altra parte. In un Transatlantico affollato passa un trafelato Antonello Giacomelli, sottosegretario piddino alla Rai: «Se a me andrebbe bene un governo Giorgetti? A me va!».

Solo il generale tempo, magari con l'aiuto di Mattarella, lo dimostrerà.

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