Caccia al "profugo" libico che insegnò la jihad a Hosni

L'italo-tunisino che ha ferito due militari e un agente in Centrale dalla cella nega: "Non sono musulmano"

Caccia al "profugo" libico che insegnò la jihad a Hosni

«Non sono praticante e non sono nemmeno musulmano!». Grida la sua innocenza dal carcere il 20enne Tommaso Ismail Hosni, indagato per terrorismo internazionale dopo aver ferito giovedì sera in Stazione Centrale, durante un controllo, un agente di polizia e due militari. Il giovane, con padre tunisino e madre italiana, resta un enigma. La polizia sta cercando infatti di capire se l'aggressione di cui si è reso protagonista sia frutto di una forte rabbia verso il sistema - viste anche le sue precarie condizioni di vita - oppure se lo stato di alterazione a cui era in preda in quel momento debba essere interpretato come un'espressione di un'influenza di tipo religioso estremista.

E allora il coltello? Il cappuccio? I filmati? Gli inquirenti restano scettici. Dall'analisi nell'ambiente di amicizie e conoscenze del ragazzo, emergono solo frequentazioni con sbandati o senza fissa dimora, com'è appunto lui. Molti dei quali girano con uno più coltelli in tasca, come dimostrano i controlli giornalieri delle forze dell'ordine in città. Inoltre il cappuccio, le mani in tasca, l'andatura veloce di Hosni quella sera in stazione potrebbero costituire un atteggiamento voluto per provocare appunto l'attenzione delle forze dell'ordine e manifestare contro di loro la rabbia verso il mondo che lo ospita, e una vita di stenti, senza futuro.

Infine perdono peso con il passare delle ore anche i filmati in suo possesso e che hanno indotto gli inquirenti ad accusare Tommaso Ismail di terrorismo internazionale. Pare infatti che molti giovani magrebini, assolutamente innocui dal punto di vista della radicalizzazione religiosa, li guardino spesso per curiosità. Naturalmente anche su queste immagini devono essere svolti accertamenti più approfonditi per scoprire se sia una mera coincidenza il fatto di averli rinvenuti sullo smartphone di Hosni oppure se rappresentino invece la dimostrazione di una sua particolare posizione religioso-estremista.

Capire questo punto è di fondamentale importanza: quanto è accaduto in Centrale (un fatto che potrebbe anche rivelarsi una semplice aggressione senza finalità di tipo terroristico) non deve infatti essere enfatizzato per evitare che ci siano gesti emulativi.

Molto più interessante sotto questo profilo è la figura del libico, arrestato per spaccio con Hosni lo scorso dicembre in Centrale e che, secondo i primi risultati dell'inchiesta, avrebbe istradato il ragazzo, che conosceva e frequentava, verso posizioni radicali. L'amico di Hosni, già segnalato e controllato proprio per suoi possibili legami con il terrorismo islamico, risulta essere transitato nel Cpt Sant'Anna di Crotone e in altre strutture simili, ma in Sicilia. Insomma l'uomo è arrivato in Italia con tanti altri disperati, a bordo di imbarcazioni di fortuna. Per questo trovarlo costituirebbe una vera e propria svolta per le indagini.

Ritorna così l'eterno dilemma sui flussi migratori: attraverso gli sbarchi arrivano nel nostro Paese persone potenzialmente pericolose e che potrebbero diffondere principi e teoremi riconducibili a quelli dell'Isis?

Sotto questa luce diventa sempre più importante il controllo dei migranti, comprendere da dove vengono esattamente e capirne gli orientamenti religiosi. Di conseguenza ancora una volta riveste un ruolo fondamentale il controllo del territorio da parte delle forze dell'ordine.

Basti pensare all'arresto e all'uccisione a Sesto San Giovanni di Anis Amri, il tunisino responsabile della strage al mercatino di Natale a Berlino. Oggi inoltre, a differenza del passato, le forze dei reparti antiterrorismo vengono parcellizzate in una miriade di indagini su tanti singoli casi. E invece andrebbero rafforzate in un'unica direzione.

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