L'affare Durigon si ingrossa: ieri anche il Pd ha ufficialmente annunciato che depositerà la propria mozione di «censura» contro il sottosegretario leghista che vuole intitolare parchi ai cari di Mussolini, come avevano già fatto i Cinque Stelle e, di complemento, anche quelli di Leu.
«Nella Repubblica italiana nata dall'antifascismo non ci può essere nessuno al governo che si richiama a esperienze dittatoriali del passato», annuncia il parlamentare e membro della segreteria Enrico Borghi.
Il tentativo dem è quello di mettere il premier Draghi davanti ad una scelta politicamente assai fastidiosa: pestare i piedi a Salvini, obbligando il suo uomo nel Lazio (che copre il leader leghista sul fronte della destra estrema, dove la concorrenza dei meloniani è spietata) a rinunciare alle deleghe, oppure assistere alla plateale spaccatura della sua maggioranza nell'aula del Parlamento, con l'alleanza rossogialla a chiederne la testa al premier e il centrodestra a difenderlo, in alcuni casi assai a malincuore. È noto a molti, infatti, che nella Lega l'imponente Durigon, aduso a parlare spesso a sproposito ma molto protetto da Salvini, non sia amatissimo. Il più draghiano dei ministri leghisti, Giancarlo Giorgetti, ne diffida politicamente e se lo è trovato spesso e malvolentieri tra i piedi su dossier importanti, come Alitalia, su cui il sottosegretario piazzato al Mef dal capo leghista ha intralciato le trattative del ministro dello Sviluppo con l'Unione europea per liberare almeno in parte l'Italia del costosissimo e inutile bubbone aereo. Con Durigon, invece, a difendere i dipendenti mantenuti a spese dei cittadini, e il suo ex sindacato Ugl a organizzare sit in di protesta contro Giorgetti. Nel Pd si augurano quindi di poter avere l'aiutino di una fronda interna leghista, e di incassare così una vittoria propagandistica nella epica saga «Letta contro Salvini» (e viceversa), utile per la campagna elettorale. A meno che, come immagina più d'uno nel gruppo dem, tutto si risolva con un Durigon (spedito in vacanza da Salvini onde evitare nuovi scivoloni) che, preso per un orecchio dal premier,si cosparge il capo di cenere chiedendo scusa per le battute di pessimo gusto, e pace.
L'intento palese di Giuseppe Conte e dell'ala di M5s che come lui fa capo al Fatto quotidiano e dintorni, invece, è quello di mettere in difficoltà il premier, costringendolo a prendere le parti di un pezzo di maggioranza contro l'altro e giocando ad indebolirlo. Usando con inedita solennità la bandiera di un antifascismo grillino di cui non si ha memoria, quando si trattava di difendere le sparate di vari Dibba o Lannutti (quello dei «Savi di Sion»). I dem negano che da parte loro ci siano intenzioni anche lontanamente simili: «Uno che ha appena ricevuto un endorsement planetario come quello fatto ieri a Draghi dal New York Times non credo proprio che si ponga il problema di essere indebolito dalla questione delle deleghe a Durigon», dice Borghi.
Ma il corpo a corpo con la Lega non si limita al caso Durigon: anche il braccio di ferro sullo Ius Soli, che Letta annuncia per l'autunno, va nella stessa direzione. E desta qualche preoccupazione nei gruppi dem: «Rischiamo di ingaggiare una nuova battaglia campale senza costrutto, come con lo sfortunato ddl Zan: i numeri in aula non ci sono. Come con il voto ai sedicenni: tutte battaglie che servono a dire votateci perché siamo di sinistra, ma non a ottenere risultati concreti», lamentano nell'ala moderata. E se i numeri non ci sono è anche perché sullo Ius Soli gli alleati grillini «la pensano esattamente come la destra», fa notare Matteo Orfini.
Tant'è, accusano dalla sinistra Pd, che è stato proprio il presidente pentastellato della commissione Affari Costituzionali Brescia, nell'ultimo anno, «a tenere insabbiate le proposte di legge in materia». Conte, sollecitato dai dem a pronunciarsi, fa il pesce in barile.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.