La caduta di mr. Expo, da federatore ad "appestato". Addio ambizioni da leader della sinistra verde-rossa

Gentiloni lo voleva a capo della "gamba centrista", Bettini lo vedeva come la carta per unire dem e Cinque Stelle. Ed è stato ad un passo dal lanciare un suo partito

La caduta di mr. Expo, da federatore ad "appestato". Addio ambizioni da leader della sinistra verde-rossa
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"Il mio partito (virtuale) è Milano", rispondeva il sindaco Beppe Sala (nella foto) a chi gli contestava di non aver alle spalle una forza politica. Milano come laboratorio e modello politico per conquistare Palazzo Chigi. Milano doveva essere il trampolino di lancio. Rischia di essere la tomba politica. In fondo, il sogno proibito, coltivato dal Beppe verde-rosso (da non confondere con il Beppe grillino), era la scalata al governo. I piani (ambiziosi) vanno rivisti all'indomani dell'inchiesta della Procura di Milano che travolge l'amministrazione comunale del capoluogo lombardo. Lo stesso sindaco risulta indagato.

Il tema non è giudiziario. Ma politico. Sala, per i suoi amici di sinistra, gli stessi che lo volevano federatore o a Palazzo Chigi, è diventato un appestato da cui stare alla larga. Contagioso. Si vede dalla timidezza con cui la sinistra (e soprattutto il Pd) l'ha difesa.

Dov'è finito Gentiloni che lo voleva a capo della gamba centrista? Dov'è finito Bettini che lo osservava dalla sua Thailandia e lo considerava la carta ideale per unire Conte e Schlein. Tutti zitti. Tutti muti. Tutti alla larga dall'appestato Sala.

La segretaria del Pd non lo difende. Le vite politiche del Beppe verde-rosso sono state tante. Ora però politicamente è calato il sipario. Forse avrà la possibilità di concludere il mandato alla guida della città di Milano. Prima di ritornare alla vecchia vita: le aziende. Milano è stata per Sala croce e delizia per le sue aspirazioni politiche. Il sindaco ha sempre tentato la scalata nazionale. Ha provato a uscire da quel guscio.

In principio ci provò con i Verdi. Sala sognava di diventare il leader di una forza politica ambientalista ed europeista. Di questo sogno sono rimaste tracce a Milano: il divieto di fumo nei parchi, il ticket per l'ingresso in centro e tante altre follie green. Che per i milanesi sono diventati incubi. Con Luigi Di Maio fu amore a prima vista. Sala e Di Maio volevano fondare il partito dei sindaci. Un po' come fu l'Asinello di Romano Prodi. Con Sala nella veste del Cacciari di turno e Di Maio al posto del professore. Un flop clamoroso. Il bilancio fu disastroso: nessun sindaco rispose all'appello. Di Maio fu costretto all'asilo politico in Medio Oriente. Renzi e Calenda quando iniziarono a darsele di santa ragione pensarono a Sala come pacificatore.

Renzi (che di flop se ne intende) si sfilò subito. Calenda invece diede a Sala carta bianca per costruire la casa dei riformisti. Di questa casa nessuno ha visto manco le fondamenta. Nella affannosa rincorsa a un ruolo nazionale Sala ha provato a contendere la guida dell'Anci (l'associazione nazionale dei comuni) al collega di Napoli Gaetano Manfredi. Altro buco nell'acqua. Però la grande occasione per il sindaco di Milano arriva a fine ottobre: la segretaria del Pd Elly Schlein chiede di incontrarlo: "Organizzami la gamba centrista del campo largo".

Corriere e Repubblica accompagnano, con paginate, l'ascesa. Sala pone tre condizioni e accetta. Parte l'avventura. Nessuno se ne accorge. Manco Schlein. Se non fosse per la bocciatura che arriva (quasi immediata) da parte di Renzi. Poi piomba l'inchiesta che fa saltare tutti i piani.

E la sinistra, dal Movimento Cinquestelle a Fratoianni, la stessa che gli chiedeva di fare il federatore, ora vuole la sua testa. Dimissioni, dimissioni. Epilogo triste per il Blair italiano finito come un Ignazio Marino qualsiasi. Lo rivedremo forse tra qualche anno a Bruxelles.

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