«Se si fa l'accordo con i Cinque Stelle me ne vado dal Pd». Carlo Calenda la mette giù dura, e in una intervista al Foglio annuncia di essere pronto alla scissione, e a tentare la formazione di un nuovo partito che «rappresenti il mondo liberaldemocratico rimasto orfano».
La sfida è a Nicola Zingaretti, che per ora continua prudentemente a tenere le carte coperte. Da quando Matteo Renzi ha spiazzato tutti con la sua proposta di un «governo istituzionale» per evitare il voto e mettere Salvini all'opposizione, nel Pd sono venuti allo scoperto uno dopo l'altro tutti i big (a parte Paolo Gentiloni, silenziosamente ostile) dando in vario modo la loro adesione all'idea renziana. Il segretario, che invece aveva puntato tutte le sue carte sulle elezioni anticipate, ha convocato la Direzione del partito per inizio settimana, ma tiene le carte coperte in attesa dell'evoluzione della crisi, e continua a sperare: «Aprire dibattiti su governi futuri prima che quello in carica cada è un errore», avverte. E comunque «il Pd è pronto per andare ad elezioni». Il segretario vuole evitare spaccature interne, soprattutto nel caso in cui si precipitasse comunque verso il voto, e Calenda invece minaccia rotture: «Se la direzione del Pd darà a Zingaretti il mandato di verificare l'ipotesi di accordo con i 5 stelle, questo vorrà dire che il Pd avrà definitivamente abdicato alla rappresentanza del mondo liberaldemocratico. Io questa cosa non la accetterò. Sarà a quel punto inevitabile lavorare a una nuova forza politica che rappresenti quel mondo orfano». Una forza, aggiunge, « non alleata con il Pd, perché il Pd avrà perso ogni credibilità rispetto alle istanze dell'Italia seria». Sulla linea del non dare ai grillini «anche la leadership del Pd», assicura Calenda, «ci siamo io, Minniti, forse Gentiloni». Tutti gli altri, «da Renzi a D'Alema», sono invece «schierati per non andare al voto, pronti all'intesa con M5s per non perdere la poltrona».
L'ex ministro viene attaccato dai renziani: «Calenda usa gli stessi argomenti di Salvini», accusa Michele Anzaldi. «Polemizza e cerca visibilità per pubblicizzare la sua scissione». Mentre invece, assicura, «se oggi Salvini è sconfitto, se è costretto a fare marcia indietro, se è finito a mendicare un rimpastino pur di salvare la sua poltrona, lo si deve alla strategia vincente di Renzi».
A smontarla, dando manforte a Zingaretti, arriva invece il grande vecchio del Pci Emanuele Macaluso: solo un Pd «ammalato di governismo» può «avere paura del voto», con l'unico risultato di «fare prendere più consensi a Salvini tra qualche mese».
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