Che sia frutto di uno scontro sincero o di una buona dose di tatticismo, il muro contro muro andato in scena ieri tra Luigi Di Maio e Matteo Salvini non può che compromettere sul nascere la seconda tornata di consultazioni. L'incomunicabilità tra i due vincitori delle elezioni, infatti, al momento è così granitica che difficilmente il Quirinale riuscirà di qui a giovedì a trovare una strada per riaprire le porte a un confronto costruttivo. Passati ormai 37 giorni dal voto, dunque, è sempre più evidente che Sergio Mattarella non potrà limitarsi a quel ruolo di notaio veicolato in queste settimane dal Colle e più volte teorizzato dai conoscitori delle cose quirinalizie.
Certo, che il capo dello Stato si sia preoccupato di marcare la differenza con il suo predecessore è più che naturale. Dopo quasi nove anni nei quali Giorgio Napolitano si è mosso come fossimo in una Repubblica presidenziale, è legittimo che Mattarella abbia voluto sgombrare il campo da tentazioni personalistiche. D'altra parte, i due sono diversi non solo per carattere ma anche e soprattutto per storia politica. E quella dell'attuale inquilino del Colle, cresciuto alla scuola della sinistra democristiana, insegna che qualunque obiettivo va perseguito con ponderazione ed equilibrio. Non è un caso che in oltre trent'anni di vita pubblica di Mattarella non si ricordino né urla né uscite sopra le righe. Il capo dello Stato, insomma, si è mosso nella direzione opposta a quella che avrebbe seguito Napolitano. E invece di tracciare la via imponendo soluzioni ha scelto di mettersi alla finestra ad aspettare. Il che, a differenza di quanto si è autorevolmente teorizzato, non significa «fare il notaio». Così fosse, peraltro, Mattarella non farebbe il proprio lavoro. Che in un momento di clamorosa impasse come quella attuale è proprio cercare di «facilitare» una soluzione.
E questo sta legittimamente facendo Mattarella. Che si muove all'interno di un percorso che ha alcuni fondamentali paletti. In primo luogo, il capo dello Stato farà quanto in suo potere per evitare il voto anticipato, non solo a giugno ma anche dopo l'estate. È ferma convinzione di Mattarella, infatti, che l'Europa e i mercati non capirebbero (e non gradirebbero) un ritorno alle urne tanto rapido. Non è un caso che proprio ieri il Financial Times abbia definito «rassicurante» la presenza di Mattarella, «una figura degna di fiducia» che «rammenterà sicuramente ai leader di partito l'esigenza di trovare una soluzione che rispetti i vincoli europei e transatlantici dell'Italia». E in questo senso va la diffidenza del capo dello Stato per un governo M5s-Lega, un asse tra partiti populisti ed euroscettici. Certo, se Di Maio e Salvini si dovessero presentare al Colle a braccetto e pronti a dar vita ad un esecutivo, Mattarella non si metterebbe di traverso. Ma di qui ad esserne entusiasta ce ne passa.
A cinque settimane dalle elezioni, dunque, va definitivamente in archivio la favola del «presidente notaio».
Tanto non lo sarà, infatti, che visto lo stallo delle ultime ore il capo dello Stato starebbe pensando di far slittare il secondo giro di consultazioni alla prossima settimana. Con la convinzione che più il tempo passa, più i diversi leader di partito dovranno fare i conti con la realtà di un Parlamento dove nessuno può davvero dirsi vincitore.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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