
Dirigente del Fronte della gioventù, poi del Msi e quindi Alleanza nazionale. Un curriculum che una volta avrebbe chiuso, più che aperto porte. Ora, invece, Felice Giuffrè (nella foto) atterra su una pesantissima poltrona dell'architettura giudiziaria italiana: quella di presidente della quinta commissione del Csm, in sostanza la "stanza" in cui si pilotano le nomine negli uffici giudiziari piccoli, medi e grandi di tutta Italia. Insomma, un luogo di potere e di inevitabili frizioni fra cordate e correnti che si combattono e si accordano da sempre. Soprattutto, un feudo della magistratura, con qualche rara incursione dei membri laici di centrosinistra.
Oggi si cambia e per la prima volta arriva un laico, si ma di centrodestra, che non fa mistero della propria appartenenza culturale all'area della premier. Giuffrè d'altra parte è arrivato al Csm su input di Fratelli d'Italia nel 2023, anche se vanta una biografia inattaccabile: è professore ordinario di diritto costituzionale a Catania e avvocato amministrativista.
Un decreto del vicepresidente Fabio Pinelli lo colloca dunque in una posizione delicatissima, al centro di complicati equilibri e ambizioni personali.
Per la carica di Procuratore della repubblica di Milano o di Roma, ad esempio, si sono consumate aspre battaglie, seguite da una girandola di ricorsi e controricorsi al Tar. Una volta, solo qualche anno fa, imperava il metodo Palamara, dal nome dell'ex presidente dell'Anm Luca Palamara che poi ha svelato dall'interno il sistema, scrivendo un paio di libri a quattro mani con Alessandro Sallusti.
"Speriamo di fare bene come i miei predecessori, Maria Luisa Mazzola di Magistratura indipendente e Carbone di Italia viva, che hanno accorciato i tempi delle nomine in modo significativo, abbattendo gli arretrati. Mi pare - aggiunge Giuffrè - che anche il contenzioso davanti alla magistratura amministrativa si sia ridotto e devo dire che siamo sulla buona strada, anche con l'aiuto del testo unico varato circa un anno fa dal Csm che ha compresso , soprattutto per gli uffici medio piccoli, i margini di manovra e gli spazi di discrezionalità".
Naturalmente un conto sono le parole, altra cosa i fatti. Il clima però è cambiato e il vicepresidente Pinelli, di estrazione leghista, si è speso molto in questi due anni per allargare l'area del consenso nel segno del rigore e della disciplina, senza fare sconti a nessuno.
Per capire, basta prendere le decisioni della Disciplinare, presieduta proprio da Pinelli. Un tempo la Disciplinare emetteva verdetti quantomeno controversi, comminando pene poco più che simboliche o addirittura assolvendo magistrati che si erano resi responsabili di comportamenti inaccettabili. Oggi tutto questo è solo un ricordo e la Disciplinare ha espulso dalla magistratura toghe che prima probabilmente sarebbero state graziate o punite in modo blando.
Forse, si fosse arrivati prima dove si è oggi, la riforma che prevede la separazione delle carriere, pur necessaria, e in linea con il codice di procedura penale di
stampo accusatorio, non sarebbe stata così attesa. Invece siamo a un passo dall'approvazione definitiva che prevede, fra l'altro, la creazione di un'Alta corte esterna al Csm per pesare gli illeciti deontologici dei giudici.