Camere come una giungla. Senza numeri si media o il rischio è fare harakiri

Il blitz non riesce, l'arma fiducia non c'è. E gli alleati spingono per un accordo

Camere come una giungla. Senza numeri si media o il rischio è fare harakiri

Immaginate un Parlamento come una giungla, dove per eleggere un giudice costituzionale amico, cioè il consigliere giuridico di Palazzo Chigi, Francesco Saverio Marini, il Premier deve inviare un messaggio in codice alle truppe, missiva secretata che poi per colpa di qualche «talpa», più meno consapevole, è intercettata dall'avversario. Risultato: il blitz, l'incursione, magari un po' improvvisata, fallisce ancor prima di nascere. E più meno lo stesso epilogo potrebbe avere un'altra prova di forza del centrodestra in una foresta un pochino più piccola ma non meno perigliosa come la Commissione di Vigilanza Rai che ha come obiettivo l'elezione di Simona Agnes presidente dell'azienda di viale Mazzini.

Alla fine tutte le maggioranze anche le più coese (e l'attuale è attraversata da mille fibrillazioni) devono fare i conti, appunto, con la legge della giungla complici quei voti segreti che per regolamento in Parlamento accompagnano tutte le votazioni sulle persone. E anche se i governi sono stabili, anche se la maggioranza litiga ma non ha voglia di rompere, le vicende degli uomini, cioè le nomine, sono caratterizzate da incursioni, colpi di mano e imboscate che a volte hanno successo e altre finiscono male.

Il tentativo di ieri di spedire Marini alla Consulta fa parte delle «operazioni speciali» fallite. Naturalmente lo stato maggiore di Fratelli d'Italia rigetta tutte le responsabilità sull'opposizione. «Il problema è che la sinistra - osserva Giovanni Donzelli, responsabile dell'organizzazione - pretende di scegliere anche i nostri giudici costituzionali. Non è accettabile. Se noi vogliamo eleggere Marini perché non dovremmo farlo? Ha contribuito a scrivere al riforma del premierato, e allora che male c'è?! Se loro pensano di mandare Zagrebelsky a noi sta bene. Sono scelte loro. In realtà le opposizioni non si mettono d'accordo, perché sono divise e danno la colpa a noi. Il punto è che questa paralisi getta discredito sulle istituzioni».

Ora l'analisi di Donzelli dice una verità e mezza. Da una parte se il Pd, e ora tutte le opposizioni, continuano scegliere la strada dell'Aventino dopo la Rai e ora sulla Consulta, rischiano di andarci a vivere davvero su quel Colle di Roma. Non è una strategia che paga a lungo andare. Dall'altra il tentativo di «blitz» finito male ha rimesso insieme le componenti del «campo largo»: Conte, Schlein, Renzi, Calenda, Fratoianni hanno tutti disertato l'aula. Se non lo ha risuscitato ha dimostrato che l'encefalogramma di quel progetto ancora non è piatto.

È il motivo di una certa insofferenza che alberga anche nella maggioranza sulla strategia assunta da Palazzo Chigi. «I numeri - osserva il vicepresidente della Camera, il forzista Giorgio Mulè - erano chiari. Ma non è solo un problema di pallottoliere. Dicono che il sottosegretario Fazzolari punti ad eleggere 4 consiglieri su quattro alla Consulta, ma è evidente che per un'operazione del genere mancano i numeri. Logica vorrebbe che due siano scelti da noi, uno da loro e un altro da noi che stia bene anche loro. Ora con il blitz fallito abbiamo fatto, come direbbe Emilio Fede, una figura di merda».

E torniamo a Fazzolari che suo malgrado nell'immaginario parlamentare ha assunto le sembianze del duro, del falco, dell'intransigente. Personaggio sobrio, discreto e appartato, è la figura adatta in caso di fallimento per finire sul banco degli imputati. Le opposizioni non aspettavano altro. «Sembra un personaggio antico - ironizza il grillino Francesco Silvestri - un eroe dell'era dei samurai, un seguace del metodo Mishima». Cioè lo scrittore nazionalista giapponese che si suicidò seguendo le regole del seppuku.

Insomma, un harakiri magari per alcuni addirittura voluto. «Si sapeva che al 100% sarebbe finita così - confida Enrico Costa figlio prodigo di Forza Italia - personaggi come Catricalà, Sisto, Donato Bruno e Pecorella, che erano sicuramente meno divisivi, non ci sono riusciti pur avendo sulla carta il 100% dei consensi, figurarsi il consigliere giuridico di Palazzo Chigi. Bastava che il ministro per i Rapporti con il Parlamento usasse il pallottoliere». E qualcuno nella maggioranza immagina anche che candidatura di Marini sia ormai compromessa. «È bruciata - sentenzia il sottosegretario al lavoro, Claudio Durigon, che tesse le lodi del compromesso, un concetto che sorprende sulla bocca di un leghista tutto d'un pezzo com'è lui- : bisognerebbe imparare che l'abc della politica in simili frangenti è l'accordo. Nelle circoscrizioni, come nei consigli comunali o regionali. Il Parlamento non fa eccezione».

Appunto, la giungla ingoia, è adatta alla guerriglia e il Parlamento in queste vicende gli somiglia.

Anche perché quando si vota sulle persone non puoi usare il voto di fiducia, l'arma che i governi degli ultimi anni hanno utilizzato a piene mani per sopravvivere. Sono disarmati. Per cui quando si elegge un giudice della Consulta o un presidente della Rai si media. Altrimenti si possono anche combattere duelli eroici, epici ma alla fine si rischia la fine di Yukio Mishima.

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