Il campo che inghiottì Alfredino oggi è diventato una discarica

Al pozzo di Vermicino non ci sono più lapidi, né ricordi, ma soltanto rifiuti e degrado. E una scultura che grida vendetta

Il campo che inghiottì Alfredino oggi è diventato una discarica

«14. Via Sant'Ireneo. Cartello provvisorio». L'erba secca scricchiola sotto la suola delle scarpe, e improvvisamente sembra erba ingannevole, un cumulo di fieno che potrebbe cedere da un momento all'altro e far sprofondare nel terreno. Rare auto transitano accanto al recinto in velocità, a sinistra un cascinale diroccato sotto un cielo di nuvole brillanti e cielo già estivo. Era un giorno così quando Alfredino correva in questo stesso campo. Correva e scivolò nel pozzo.

Il 10 di giugno, trentasette anni fa. Non c'è lapide e non c'è ricordo. Una recinzione di ferro sorretta da assi di legno incrociate, abbattuta in un punto. Una pantofola. Cartoni buttati del latte, sacchi di pasta. Lattine di birra schiacciate. Una piccola discarica da ciglio della strada, una delle tante della campagna romana, qui dove andò in scena la più lunga diretta della storia della televisione italiana.

Il campo è un fosso di erba delimitato da due terrapieni. Su uno, quello verso la strada, sorgono giovani piante di ulivo. Sotto gli ulivi, i segni di quattro voragini ricoperte.

L'erba secca non può nascondere niente che non sia terra, eppure, avanzando a piedi, sembra che tutto sdruccioli e che tutto diventi scuro. È l incubo di ogni bambino ma anche di ogni adulto, il mistero nero degli ex bambini che nei giorni di Alfredino avevano la sua stessa età. Alfredino con la magliettina a righe e il sorriso che si impresse nei sogni, Alfredino e la sua voce, la sua mano che sfuggì.

Eppure la dimenticanza ha investito questa piccola, enorme, storia, una storia privata e collettiva insieme, che si studia nei manuali di giornalismo e in seguito alla quale fu istituito il Dipartimento della Protezione Civile. Qui, nel campo del pozzo, via Sant'Ireneo, Comune di Frascati, e in paese, a Vermicino, dove fu eretta la statua dedicata al piccolo di sei anni per cui pregò l'Italia intera.

«Alfredino Rampi. Si comportò da grande rivelando al mondo i misteri di Dio», è scritto sotto la scultura di un bambino che tende un braccio al di sopra di uno sperone di roccia. Ai piedi, tre vasi: uno di fiori indistinguibili, completamente bruciati dal tempo e dal sole, uno di rose finte e annerite. Il terzo vuoto. Questo monumento sorge proprio accanto alla chiesa dei Santissimi Cuori di Gesù e Maria di Vermicino, ma nessuno, da un tempo incalcolabile, ha mai lasciato nemmeno una margherita.

La sera del 10 giugno del 1981 Alfredo Rampi cadde in un pozzo artesiano scavato in un terreno privato. Da quella sera, e per i tre giorni successivi, quel campo arrivò a contenere diecimila persone, con una diretta televisiva Rai di 18 ore. I tentativi furono innumerevoli e tutti fallimentari: una tavoletta che si incastrò, una serie di immersioni compiute da uomini di piccola corporatura, lo scavo di un pozzo parallelo, la scoperta che Alfredino era scivolato a 60 metri. Tutti i dettagli arrivarono nelle case: il viso del piccolo con la sua sofferenza, come i visi di quegli uomini del sottosuolo e del presidente Sandro Pertini. Il bambino morì il 13 giugno e il suo corpo fu recuperato soltanto un mese dopo e restituito alla famiglia, che tre anni fa ha perso anche l'altro figlio, Riccardo.

Non c'è più la memoria, ma questi luoghi sembrano parlare ancora con una voce più potente dell'abbandono.

«Verrò con un gelsomino», assicura Letizia, che ci accompagna dalla vicina Tor Vergata in questa immersione in una tragedia rimossa dalle menti. Lei ad Alfredino pensa spesso: ogni giugno, e non solo. Nel campo del pozzo raccoglie la mentuccia, miracolosamente nata su questo stesso ciglio ricoperto d'immondizia.

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