
Diagnosi tardiva. Così è stata annunciata la notizia del cancro alla prostata certificato all'ex presidente degli Stati Uniti d'America Joe Biden, scoperto in stato ormai molto avanzato, con un grado di 9 della classifica di Gleason, la quale parte da il valore più basso di 1 fino ad arrivare a 10, un punteggio, quello del grado 9, che indica che le cellule tumorali hanno ormai raggiunto un livello di massiccia invasività in tutto il corpo, oltre che caratteristiche istologiche di elevata aggressività e malignità.
Il fatto sorprende e ci si domanda come sia stato possibile che all'uomo più potente del mondo, sottoposto a rigidi controlli medici e clinici di routine, eseguiti sempre con particolare scrupolo vista l'importanza del personaggio, non sia stata diagnosticata per tempo una patologia così comune. E come è stato possibile che la patologia prostatica Gleason9 di Biden, un carcinoma avanzato ed aggressivo, per essere partito da un piccolo nodulo ghiandolare ed arrivato a metastatizzare molte ossa dello scheletro, e quindi considerato ormai troppo diffuso e quindi inguaribile, non sia stato nemmeno ipotizzata durante i controlli e lo screening, partendo dall'ormai noto a tutti esame del PSA, passando poi per la ecografia prostatica, abbinata alla Risonanza Magnetica della ghiandola ed alla obbligatoria Biopsia?
Il comunicato della Casa Bianca recita che «la scorsa settimana, il Presidente Joe Biden, dopo aver manifestato un aumento di sintomi e disturbi urinari, è stato visitato per un nuovo riscontro di un nodulo alla prostata, diagnosticato come cancro Gleason9 con metastasi ossee, risultato sensibile agli ormoni, cosa che consentirà una gestione efficace della patologia». E da quel giorno sono stati diffusi alla stampa una serie di messaggi, a partire di quelli di Trump, Obama, Kamala Harris, Hillary Clinton e molti altri, tutti di incoraggiamento verso l'ex Presidente e di augurio di una pronta guarigione. Una guarigione che naturalmente non ci sarà, perché in casi come questi è considerata impossibile dalla scienza, come una battaglia perduta in partenza, soprattutto perché l'82enne Joe Biden morirà presto a causa del carcinoma prostatico metastatico non diagnosticato in tempo dal suo staff sanitario.
Le cause ipotizzabili sono soltanto due: o al Presidente americano il tumore della prostata era stato scoperto anni prima, tenuto nascosto e non comunicato ufficialmente, trattato e curato nonostante la progressione di malattia, oppure all'attuale Presidente Donald Trump converrebbe valutare una scelta più accurata dello staff medico della Casa Bianca.
Il tumore della prostata colpisce un uomo su 8, è uno dei più diffusi nella popolazione maschile sopra i 50anni, ed in Italia rappresenta il 19,5% di tutti i tumori nell'uomo, con stime di oltre 40mila nuovi casi l'anno a livello nazionale. Nonostante l'incidenza elevata, il rischio che la malattia abbia un esito infausto è basso, le possibilità di ammalarsi sono scarse prima dei 40anni, mentre aumentano sensibilmente dopo i 50anni, e circa due tumori su tre sono diagnosticati in persone con più di 65anni.
Nelle fasi iniziali di insorgenza il tumore della prostata è sempre asintomatico, cioè non produce sintomi o disturbi locali, ed il paziente, che è già ammalato ed in progressione di malattia, è completamente ignaro di essere portatore del cancro, a meno che non esegua gli esami di screening come il Psa con un prelievo di sangue, la visita urologica con esplorazione rettale, e soprattutto l'ecografia e la RMN della prostata sospetta. Quando compaiono i sintomi urinari, come difficoltà alla minzione, bisogno di urinare spesso, sensazione di non urinare in modo completo, di non avere mai la vescica vuota, di notare sangue nelle urine o sintomi di dolore e bruciore, vuol dire che la piccola massa tumorale è cresciuta, che preme sull'uretra e che è pronta a rilasciare le sue cellule maligne per diffonderle agli organi vicini e lontani. Si parla di tumore metastatico quando la neoplasia si diffonde altrove, quando le cellule si staccano dal tumore originario per raggiungere, attraverso il flusso sanguigno e linfatico, altre sedi ed organi più lontani, per generare tumori secondari, e le metastasi ossee, presenti in oltre l'80% dei pazienti non diagnosticati o non curati, sono lesioni scheletriche che sovente interessano le costole, le anche e le vertebre, queste ultime causa di frequenti fratture patologiche.
Generalmente la maggioranza dei tumori prostatici è sensibile alla terapia ormonale, che di fatto riduce o blocca la produzione di testosterone, l'ormone che alimenta la crescita delle cellule tumorali, la quale, in combinazione con i farmaci chemioterapici ed immunologici, è utile per rallentare del 30% il decorso della malattia.
Oggi sono disponibili molti trattamenti del tumore della prostata: la scelta primaria, nelle neoplasie in stadio iniziale, ricade sulla chirurgia radicale o parziale, sempre più spesso eseguita in laparoscopia tramite la chirurgia robotica, la quale riesce ad eradicare i tumori in fase iniziale ed ancora contenuti all'interno della ghiandola prostatica. Essendo la prostata un organo fondamentale dell'apparato genitale maschile tutte le terapie, mediche, ormonali e chirurgiche, possono indurre significativi effetti collaterali, come la disfunzione erettile e l'incontinenza urinaria, in grado di alterare significativamente la qualità di vita del paziente, sebbene la sensibilità sul pene e la capacità di raggiungere l'orgasmo rimangano intatte, mentre l'erezione può essere compromessa, come l'eiaculazione, che dopo l'intervento chirurgico avviene in modo retrogrado in vescica, ma con l'aiuto dei farmaci contro la disfunzione erettile si può spesso ristabilire un certo grado di potenza sessuale.
La buona notizia è che oggi è a disposizione, nei maggiori centri clinici italiani, la Risonanza Magnetica Whole Body, un macchinario di ultima generazione, punta di diamante della diagnostica Rm Philips, un esame che permette di individuare tumori anche molto piccoli, quelli appena iniziali di appena 3/4 millimetri di diametro, quelli non ancora visibili e non rilevabili ai comuni apparecchi radiologici, compresa la Tac, e tutte le eventuali neoplasie microscopiche, di qualunque tipo istologico od origine, possono essere scoperte con questo esame ovunque esse si trovino, ovunque stiano nascendo. Un esame innovativo ed altamente sofisticato capace realmente di una diagnosi molto precoce di malattia, in modo da poter intervenire con largo anticipo, anticipando lo sviluppo futuro di qualunque tumore, anche il più aggressivo.
La DWB (Diffusion Whole Body) è nata inizialmente come screening per esaminare la popolazione asintomatica, cioè non affetta da patologie tumorali note, e senza alcun sintomo patologico di sorta, per scoprire eventuali lesioni maligne assai piccole, appena iniziali e silenti, mentre ora viene utilizzata sempre a scopo preventivo o per monitorare lo stato effettivo della patologia neoplastica già diagnosticata, il suo avanzamento reale o la sua effettiva remissione. L'esame non prevede l'uso di radiazione o mezzi di contrasto in vena, è un test innocuo, sicuro e non invasivo, di breve durata, ma soprattutto garantisce risultati sicuri ed affidabili per una diagnosi certa, di salute o malattia.
Strano che questo tipo di esame, utilizzato pochi anni fa per la prima volta negli USA, non sia stato eseguito in passato come screening a Joe Biden, il presidente della Nazione più potente e più
tecnologicamente avanzata in campo sanitario, quel Presidente oggi diventato il paziente più sottovalutato dal punto di vista medico, diagnostico e terapeutico, o soltanto il paziente più sfortunato della grande America.
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