
È durato una notte il governo francese guidato da Sébastien Lecornu. E lui solo 27 giorni diventando il premier con il mandato più breve della storia della V Repubblica. Avrebbe dovuto pronunciare la dichiarazione di politica generale all'Assemblée proprio oggi. Invece ieri mattina il fedelissimo a cui Macron meno di un mese fa ha affidato il compito di superare l'impasse dopo la caduta dell'ex premier centrista Bayrou ha rassegnato le dimissioni al presidente, che le ha accettate, precipitando la Francia in un nuovo abisso di incertezza. A tarda serata, e dopo due incontri all'Eliseo, Lecornu ha poi fatto sapere che non ci tiene ad essere "rinominato" dal capo dello Stato. Ma procederà ob torto collo a nuove consultazioni, al via oggi alle 9, per provare a elaborare una "piattaforma di azione" per "la stabilità".
La scelta di 18 ministri, 13 dei quali fotocopia del precedente esecutivo, era stata fatta domenica. Operazione bricolage giudicata fallimentare dai suoi stessi alleati (a partire dal leader dei Républicains, Bruno Retailleau). Lecornu ne ha preso atto, lasciando, e innescando una reazione a catena dalle opposizioni ma anzitutto dagli alleati del giovane premier. Retailleau non ha gradito apprendere "dalla tv" i nomi della squadra, dove c'era anche il ritorno di una vecchia volpe neogollista passata sotto l'ala macroniana, Bruno Le Maire - stavolta al ministero della Difesa dopo essere stato a lungo nei governi Macron ministro dell'Economia. E visto che Lecornu aveva promesso "rottura" con il passato, Retailleau gli ha rinfacciato di aver scelto un ministro che ha gestito le finanze a lungo sotto Macron con scelte che hanno ingrossato il debito francese. "Aveva detto rottura, doveva dimostrarla...". Non faremo "da stampella", gli fa eco il suo vice Bellamy. Mentre Marion Maréchal-Le Pen propone come soluzione la creaazione di un'ampia coalizione di destra.
Durissima, anche la lettura dell'ex pupillo del capo dello Stato, oggi leader di Renaissance, il partito macroniano. Gabriel Attal, ex premier a sua volta, è tranchant: "Non comprendo più le scelte del presidente". Le opposizioni hanno cavalcato lo choc. Marine Le Pen ha chiesto di "finirla qui, torniamo a votare" per l'Assemblée, senza chiedere le dimissioni di Macron e senza escluderle. Opzione reclamata invece a gran voce dall'estrema sinistra di Mélenchon, che ha ipotizzato di provare a destituire per via parlamentare il presidente. Gelo dal Ps: Lecornu ha detto infatti che è stato impossibile venire incontro alle richieste dei socialisti, in particolare sulla riforma delle pensioni che il Ps chiedeva di sospendere come segnale di "rupture" col passato, per l'appunto. Lecornu ha scontentato destra repubblicana e socialisti, che hanno visto invece una mano tesa, dopo la crisi di ieri della "Macronie", da Jean-Luc Mélenchon: per ricucire un'alleanza della gauche slabbrata e proporre un'alternativa. Il Ps, assieme ai verdi, ha fatto appello a Macron affinché nomini un primo ministro socialista o ecologista, nel crescendo della bufera mediatica sui ministri che, per una notte di incarico, incasseranno 28 mila euro di indennità. Silenzio radio dall'Eliseo. Il Rassemblement national "censurerà" a priori tutti i governi Lecornu, qualunque siano i nomi, la linea formalizzata dopo una riunione tra lo stato maggiore lepenista e l'alleato minore della destra, Eric Ciotti, leader dell'Unione delle destre per la Repubblica. La destra-destra guarda insomma già al voto.
Non pronta per l'Eliseo, chiede elezioni per rinnovare l'Assemblea nazionale, forte dei sondaggi; in attesa che, a febbraio, il ricorso presentato da Marine Le Pen, attualmente ineleggibile, faccia il suo corso. E dia una risposta: può candidarsi per le presidenziali?