Non solo il caos M5s. Ma anche la debolezza della segreteria del Pd. Due elementi cui va aggiunta la rinnovata intesa tra Matteo Salvini e Matteo Renzi sul ddl Zan, sempre con buona pace di Enrico Letta, la cui leadership al Nazareno appare più fragile ogni giorno che passa. Un mix che rischia di resettare la corsa al Quirinale, una partita che si aprirà solo formalmente a febbraio e che sotto traccia è in verità già iniziata da tempo.
È vero che il Movimento resta il primo gruppo parlamentare sia alla Camera che al Senato, ma è altrettanto evidente che la confusione di queste settimane (che continuerà anche nei prossimi mesi) lascia supporre che l'asse M5s-Pd possa alla fine far fatica a decollare. E a quel punto ne risentirebbero, inevitabilmente, le due candidature più gettonate tra i big del Nazareno: quella di Dario Franceschini e quella di Paolo Gentiloni. Così fosse, si aprirebbe forse qualche spiraglio per un accordo sul fronte del centrodestra. Grazie al fatto che all'elezione del presidente della Repubblica partecipano 58 delegati regionali che sono quasi tutti in quota Lega-FI-FdI. E in virtù pure di un possibile asse con Italia viva, circostanza che lo stesso Renzi non esclude. «Se stavolta il centrodestra resta unito, può davvero dire la sua sul Quirinale», va ripetendo da settimane l'ex premier. Il tutto al netto dei dubbi di Giorgia Meloni, che ad oggi non pare intenzionata a far uscire il tandem Salvini-Renzi come vincitore della partita del Colle (neanche fosse eletto Pier Ferdinando Casini, spiegava in privato giorni fa la leader di Fratelli d'Italia).
Al momento, però, le due opzioni prioritarie restano quelle di Sergio Mattarella e Mario Draghi. Sulla prima pesa la contrarietà - manifestata in privato e in pubblico - del diretto interessato. Ma se si arrivasse a febbraio in questa situazione di caos, la sua sarebbe la soluzione più semplice. Si tratterebbe di un mandato per così dire «a termine» - come accaduto con il bis di Giorgio Napolitano nel 2013 - che garantirebbe la fine certa della legislatura nel 2023. E, dunque, un altro anno di stipendio per un Parlamento destinato al prossimo giro ad essere ridimensionato in quanto a numeri (dalla riforma costituzionale) e riscritto negli equilibri degli attuali gruppi. Dei 161 deputati e 75 senatori grillini, per fare un esempio, sondaggi alla mano ne resteranno infatti a casa più di due terzi. Discorso simile per il Pd, dove gli attuali gruppi sono a trazione renziana ed è chiaro che la nuova segreteria rimetterà pesantemente mano alle liste. Insomma, un bis di Mattarella potrebbe costituire un grande elemento di condivisione e solidarietà tra le forze politiche in campo. Senza trascurare il dettaglio che pure Draghi sembra vedere di buon occhio uno scenario di continuità. Una decina di giorni fa, infatti, in privato il premier ci ha tenuto a sottolineare come sia proprio Mattarella il solo garante del lavoro che sta facendo a Palazzo Chigi e dell'impegno preso per il Paese. Parole che il suo interlocutore ha interpretato come un auspicio, perché è evidente che se cambia l'inquilino del Colle cambiano anche gli equilibri rispetto al governo. Non è un caso che la prassi istituzionale preveda che, quando viene eletto un nuovo capo dello Stato, il premier si presenti al Quirinale con in mano delle dimissioni, per così dire, di cortesia (non lo furono per il governo Scelba quando nel 1955 venne eletto Giovanni Gronchi).
Seconda opzione, invece, è quella dello stesso Draghi. La cui percorribilità è resa difficoltosa dal ruolo di garante dell'Italia che si è ritagliato in Europa in questi mesi e dal fatto che lasciare vuota la poltrona di Palazzo Chigi aprirebbe una riffa sul voto anticipato che si sa come inizia ma non necessariamente come va a finire.
Se per qualche ragione dovessero invece venire meno le due opzioni principali, a quel punto nella partita per il Colle tutto sarebbe possibile.
Perché è vero che nessun presidente della Repubblica è stato mai eletto senza il sostegno del partito più rappresentato in Parlamento - nel 1992, perfino la Dc ormai in via di liquefazione ci riuscì con Oscar Luigi Scalfaro - ma è altrettanto vero che il M5s rischia nei mesi a venire di diventare una vera e propria palude dove quasi tutti si muoveranno senza alcun condizionamento e in un clima di «liberi tutti».
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