Il caos mediorientale che sta oscurando Kiev

La toccata e fuga in Canada dimostra ancora una volta che nella dottrina di Trump il concetto di Occidente non dico è superato, ma sicuramente ha assunto una dimensione residuale

Il caos mediorientale che sta oscurando Kiev
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L'eventualità tragica è dietro l'angolo ma già si percepisce. La metto giù in maniera bruta: in questo moltiplicarsi di guerre c'è il rischio che alla fine l'Ucraina faccia la parte di Cenerentola e che Kiev diventi l'agnello sacrificale di un accordo generale che rimetta in equilibrio le cose in Medio Oriente. I segnali sono molteplici e purtroppo univoci. Alla vigilia dell'intervento in Iran - elemento che suffraga l'ipotesi che Donald Trump conoscesse le intenzioni di Netanyahu - gli Stati Uniti hanno spostato forze militari a cominciare da sistemi missilistici di difesa nello scacchiere medio-orientale. Dimostrando quali siano le loro priorità. Da quando sono cominciati i bombardamenti su Teheran, Donald Trump ha poi fatto tre mosse che sono segnali emblematici della sua politica: ha avuto l'idea bislacca di proporre Putin per il ruolo di mediatore tra Israele e Iran; ha criticato la decisione di dieci anni fa di escludere la Russia dal G7 (magari forse con qualche ragione); e, ovviamente al vertice canadese, per non essere in contraddizione, ha soprasseduto sulla proposta di aumentare le sanzioni verso il Cremlino. A leggere attentamente le sue parole sembra che abbia liquidato del tutto questa prospettiva: «L'Europa dovrebbe farle prima e ci costerebbero miliardi e miliardi di dollari». Più chiaro di così? Inoltre la sua partecipazione al G7 è stata poco più di un'apparizione: un modo neppure tanto nascosto per dimostrare quanta importanza assegni a quel consesso che nel formato attuale rappresenta l'Occidente.

È la conferma inequivocabile che all'inquilino della Casa Bianca del vecchio continente e della guerra che si combatte lì importa poco e niente. Sembra che la sua attenzione ormai sia concentrata su ben altri scacchieri. Questo non vuol dire nascondersi che la soluzione della crisi medio-orientale non sia prioritaria, che non abbia dimensioni tragiche e che l'obiettivo di evitare che l'Iran possa disporre della bomba atomica non sia fondamentale, ma nel contempo non si può sottacere che possa diventare anche il classico alibi pronto all'uso del pragmatismo spietato del Tycoon per disimpegnarsi dal pantano ucraino e lasciare Kiev al suo destino.

Una riflessione che si porta dietro un'altra amara verità: la toccata e fuga in Canada dimostra ancora una volta che nella dottrina di Trump il concetto di Occidente non dico è superato, ma sicuramente ha assunto una dimensione residuale. A lui non importa un fico secco se dopo l'Afghanistan l'Ucraina possa rappresentare la seconda sconfitta dell'Occidente, forse quella decisiva, a livello globale. Non ne intravvede le conseguenze: per lui, diciamoci la verità, i valori delle democrazie occidentali non sono discriminanti semmai sono intercambiabili a seconda degli interessi del momento. Altrimenti come si fa ad immaginare un ruolo di mediatore per Putin, per il personaggio che ha scatenato una guerra nel cuore dell'Europa con centinaia di migliaia di vittime e che è lungi dall'avere una soluzione? Considerarlo il possibile mediatore di una crisi internazionale grave come quella medio-orientale significa legittimarne l'operato, comprenderne le ragioni e ipotecare da che parte tenderà la lancetta della bilancia nell'epilogo della crisi ucraina. Se si aggiunge poi che ai riconoscimenti a Putin Trump accompagna una litigata pubblica contro il più convinto avversario dello Zar in Europa, cioè Macron, si capisce quale sia la rotta del Presidente USA.

Insomma, tutto questo è la conferma che stiamo entrando in una fase complicata che potrebbe modificare i nostri punti di riferimento. Non accorgersene è da imprudenti per non dire incoscienti. Un discorso che vale soprattutto per l'Europa che potrebbe essere costretta a sobbarcarsi oneri ben più pesanti di quelli che ha sostenuto finora nel garantire la pace nel continente e nel difendere le democrazie occidentali. L'America di Trump è un alleato distratto che guarda altrove. Un alleato a cui piace se non flirtare con il nemico soprassedere sui principi su cui si basa l'Alleanza Atlantica. Un alleato che segue un'unica bussola quella degli interessi americani che possono incontrarsi o non incontrarsi con quelli dei partner occidentali.

In questo nuovo mondo muoversi in sintonia con i paesi dell'Unione più che una scelta è un obbligo (vedi il nuovo rapporto tra la Meloni e Macron) perché gli interessi nazionali tenderanno a coincidere sempre più con quelli europei. Se non vogliamo restare soli.

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