L'ansia (da prestazione) sale. Enrico Letta non sta sereno. È da appena due mesi segretario del Pd e già teme di perdere la poltrona. Il rientro dall'esilio parigino per l'ex premier si sta rivelando più traumatico del previsto. Letta cerca di stare sul pezzo e straparla di tutto: legge Zan, Rai, Israele, Europa, vaccini, Recovery. Indossa le felpe delle Ong e mitraglia Salvini. È nervoso. Soprattutto dopo che il governo Draghi, spinto da Forza Italia e Lega, starebbe abbandonando la linea rigorista (del Pd) sulla gestione della pandemia.
Ma il vero ostacolo per il leader del Pd è il voto in autunno: l'alleanza con i Cinque stelle va in frantumi a Roma, Torino e Bologna. Il segretario teme la Caporetto. Ma soprattutto un primato: il segretario più breve della storia dei democratici. Ecco che sforna un annuncio: «Farò un giro d'Italia, sarà una bella modalità per ricominciare a fare politica sui territori, fra la gente e i Circoli. E fissa un obiettivo: «Mezzo milione di nuovi iscritti». Nel suo intervento alla direzione del partito convocata ieri Letta cerca di buttare la palla nel campo di Draghi: «A nome della direzione mi sento di dire che oggi chiediamo a Draghi di dare una nuova chiara missione a questa maggioranza per i prossimi mesi, necessaria per favorire la coesione e il senso del perché questa maggioranza sta insieme. Ci fidiamo di Draghi, gli chiediamo di essere molto chiaro e netto nell'indicare la missione e chiedere ai partiti di maggioranza di esser tutti al pezzo». Si paragona al Ct della Nazionale Roberto Mancini: «Il mestiere di segretario del Pd è comparabile al Ct della nazionale di calcio perché tutti gli italiani ti dicono cosa devi fare, ti danno consigli. Sono contento di questo, perché dimostra la centralità del Pd, se non si parlasse di noi vorrebbe dire che siamo diventati marginali, ma l'agenda del futuro del Pd ce la dettiamo noi».
Ma lo sport preferito da Letta sembra la provocazione: «Si riapre non perché Salvini ha chiesto di riaprire, ma si riapre nonostante l'irresponsabilità di chi voleva sbracare subito. Si riapre perché c'è stata responsabilità fino ad oggi».
Letta non vuole l'abito del traghettatore e rilancia la battaglia sull'identità del Pd: «È il cuore della questione. Se abbiamo una identità debole, qualunque alleanza ci fagociterà. L'identità ha bisogno della iniziativa e se è forte cambia il quadro intorno a noi. La questione del M5s è intimamente collegata a questo. Un movimento che era nato in modo originale è cambiato e si è trovato di fronte a una condizione esterna che lo ha portato a modificare il suo modo di essere».
Sul tema dell'alleanza con i Cinque stelle sembra smarrire però un po' le certezze: «Con alcuni alleati di governo pensiamo di poter fare un tratto di strada più lungo. Guardo con interesse all'evoluzione dei 5 stelle, ma nella logica che noi siamo il Pd e abbiamo l'ambizione di guidare il Paese con una coalizione di centrosinistra attorno. Non dobbiamo farci dettare l'agenda da altri». Non dimentica Roberto Gualtieri, in campo alle primarie del Pd per scegliere il candidato sindaco di Roma. E sul fronte parlamentare sono due le battaglie: ddl Zan e riforma della giustizia.
Mentre resta freddo sulla legge elettorale: «Siamo piccoli in Parlamento per la rovinosa sconfitta del 2018» e «da soli la legge elettorale non siamo in grado di farla. Serva una larga intesa che non può essere per nostra convenienza, per fare un blitz in Parlamento».
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