Caso Milano, la doccia fredda del Riesame: gli indizi di reato ci sono, ma no agli arresti

Le motivazioni dei giudici su Tancredi: "Attitudine criminale. Mostrava di disattendere i principi di interesse pubblico"

Caso Milano, la doccia fredda del Riesame: gli indizi di reato ci sono, ma no agli arresti
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"Nonostante l'incensuratezza", le accuse mosse a Giancarlo Tancredi dimostrano "la concreta ed attuale elevata attitudine criminale". Per l'ormai ex assessore all'Urbanistica del Comune di Milano il tribunale del Riesame è una doccia fredda. Le motivazioni depositate ieri per i tre indagati nella maxi inchiesta sull'urbanistica, cui sono state applicate misure interdittive al posto dei domiciliari (oltre a Tancredi, Giuseppe Marinoni e Federico Pella) sono una rivincita della Procura che con le motivazioni Scandurra-Bezziccheri si era vista smontare l'impianto accusatorio.

È per due terzi lo stesso collegio del Riesame che qui - su episodi singoli comunque differenti - prende una posizione di segno opposto rispetto a quella di una settimana fa: "Il quadro di gravità indiziaria ravvisato dal gip deve essere confermato", anche se in relazione a un solo capo d'accusa, quello della corruzione (riqualificato giuridicamente). L'esigenza cautelare del pericolo di reiterazione del reato è allo stesso modo condivisa dai giudici Pendino-Ghezzi-Tenchio, però l'interdittiva dall'esercitare pubblici uffici e dal contrattare con la Pa imposta per un anno è ritenuta sufficiente a scongiurarlo. Nella nuova ordinanza il Riesame è d'accordo con pm e gip sulla "esistenza di un collaudato sistema, replicato e riproposto nel tempo da Tancredi". La "attività criminosa" che gli viene attribuita è - per la Corte - caratterizzata da "articolazione ed organizzazione" ed è "perpetrata attraverso il sistematico impiego distorto della funzione pubblica".

Pure politicamente l'ex assessore viene censurato: "Tancredi mostrava di disattendere i principi fondamentali di trasparenza e di perseguimento dell'interesse pubblico che devono connotare l'azione amministrativa e, in particolare, quella di un assessore. Egli, al contrario, si adoperava per favorire gli operatori privati prescelti". Aggiunge il Riesame che il "mercimonio della funzione pubblica", frutto dell'accordo fra l'allora presidente della Commissione paesaggio Marinoni e il manager Pella, si attuava con il "contributo" dell'ex assessore, che avrebbe "consapevolmente concorso al perfezionamento del patto corruttivo". E che si sarebbe in sostanza messo "a disposizione per agevolare le attività poste in essere dal tandem studio Marinoni srl e J+S spa", di cui Pella era manager. Per questo a Tancredi si può contestare il reato di concorso in "corruzione impropria", che si è concretizzata nella "vendita della funzione" pubblica, "intesa come messa a libro paga". Ancora. Tancredi avrebbe seguito "per lungo tempo" logiche "pervase di illegalità" e avrebbe agito con "spregiudicatezza". Era poi "molto attivo sul versante dell'elargizione di favori ai quali connettere la sua, e altrui, influenza politica e professionale".

C'è infine un capitolo che riguarda pure - indirettamente - il sindaco Beppe Sala. Per Tancredi il Riesame qui non riconosce il concorso nel falso contestato a Marinoni in relazione alla sua nomina in Commissione e ai non dichiarati conflitti di interessi. Per lo stesso concorso in falso su tale nomina è indagato anche Sala.

I giudici spiegano, appunto nel respingere l'ipotesi d'accusa avanzata dalla Procura, che il concorso in questi casi "è configurabile solo in presenza di un apporto concreto e volontario alla condotta del dichiarante (il falso, ndr), mentre non è sufficiente la semplice presenza o l'inerzia di soggetti che da quella condotta traggano beneficio".

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