Politica estera

Il caso ricompatta un partito spaccato e costringe DeSantis a fermare la corsa

Chi prende le distanze dal tycoon rischia di perdere l'elettorato duro e puro. Silenzio da Biden.

Il caso ricompatta un partito spaccato e costringe DeSantis a fermare la corsa

Washington. È probabile che Donald Trump, dopo un primo momento di sconcerto - «è stato colto di sorpresa», hanno riferito dal suo entourage - stia già considerando i vantaggi immediati che gli verranno dall'incriminazione da parte della procura di Manhattan. Se è vero che ci troviamo in un «territorio inesplorato», come ripetono i vari esperti che sfilano sulle tv Usa in queste ore, ricordando che è la prima volta nella storia degli Stati Uniti che un ex presidente viene rinviato a giudizio in un procedimento penale, è anche vero che è proprio Trump l'uomo delle «prime volte». È stato lui, del resto, il primo presidente ad essere sottoposto per due volte a impeachment, e a esserne uscito indenne. Ma se la seconda messa in stato d'accusa, quella per avere incitato l'assalto a Capitol Hill, allora spaccò i Repubblicani, stavolta la notizia dell'arresto del tycoon ha avuto la capacità di ricompattare, almeno nell'immediato, un partito combattuto tra la ricerca di un dopo-Trump e la necessità di non alienarsi la base elettorale Maga che fa capo a lui. È giudizio quasi unanime che l'incriminazione per la vicenda dei soldi in nero alla pornoattrice Stormy Daniels per comprarne il silenzio, nel breve termine darà una spinta alla campagna di Trump per la nomination 2024. Un sondaggio realizzato da Fox News rivela che nell'ultimo mese, proprio quando l'inchiesta del procuratore Alvin Bragg ha subito un'accelerazione, il tycoon abbia conquistato 11 punti percentuali di consenso tra gli elettori repubblicani, passando dal 43 al 54. Senza contare i vantaggi che Trump riceverà in termini di raccolta fondi da parte di un elettorato sempre più convinto, come ha detto il leader repubblicano della Camera, Kevin McCarthy, che il democratico Bragg stia compiendo un «oltraggioso abuso di potere».

Di fatto, l'incriminazione di Trump paralizza per il momento gli altri candidati Gop, sia quelli dichiarati sia quelli non ancora ufficiali, costretti ad accorrere in suo soccorso. L'imprenditore Vivek Ramaswamy, sceso in campo il mese scorso, ha parlato di un'indagine «pericolosamente politicizzata». L'ex vice presidente Mike Pence, possibile sfidante, ha definito l'incriminazione un «oltraggio». Per Nikki Haley, altra candidata ufficiale alla nomination, Bragg cerca «più la vendetta che la giustizia». Perfino Ron DeSantis, considerato il rivale più pericoloso di Trump e per questo preso costantemente di mira dal tycoon (Ron l'Ipocrita è ormai il nomignolo preferito), si è dovuto schierare al fianco dell'ex presidente. Il governatore della Florida ha annunciato che non collaborerà con la Procura di Manhattan per l'estradizione di Trump. Una dichiarazione ad effetto, dai risvolti pratici inutili, peraltro già superata dall'accordo raggiunto tra i legali di Trump e la procura per la «resa», martedì, dell'ex presidente. Di fatto, i contendenti al trono di Trump non possono attaccarlo senza rischiare di perdere voti tra l'elettorato «duro e puro» del Partito. Una corsa in salita, che alla fine potrebbe consegnare al tycoon le chiavi della nomination.

Il risvolto negativo, invece, è lo stesso che ha visto i Repubblicani sconfitti (o comunque uscire delusi) dagli ultimi tre cicli elettorali. Si tratta della cosiddetta Trump fatigue, la stanchezza nell'elettorato repubblicano moderato o indipendente, per la fibrillazione alla quale il tycoon sottopone da anni il sistema politico Usa. Questo fattore «peserà molto su alcuni elettori e col tempo il peso potrebbe diventare maggiore», ha spiegato a The Hill lo stratega Kevin Madden, ex consigliere di Mitt Romney nella campagna 2012. Del resto, ci sono altre quattro possibili incriminazioni lungo la strada di Trump per la nomination: due a Washington per l'assalto a Capitol Hill e la storia dei documenti top secret; una ad Atlanta per il voto 2020; e un'altra a New York per frode fiscale.

E Joe Biden, trincerato dietro a un invalicabile «no comment», è il primo a sperare che sia proprio Trump l'avversario nel 2024.

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