Cassazione senza pudore: «toga rossa» ora è un elogio

Motivazione choc. Il giudice che si è sentito offeso dall'epiteto ha torto: è indicie di coscienza "fiera"

Cassazione senza pudore: «toga rossa» ora è un elogio

A ltro che insulto. L'essere etichettato come toga rossa vuol dire ricevere un complimento. Quasi, una medaglia. A dirlo, con tutta la solennità del caso, non è un avvocato berlusconiano in cerca di captatio benevolentiae , ma addirittura la Cassazione. Per la Suprema corte questa espressione, utilizzata a pioggia per cannoneggiare la magistratura nell'interminabile guerra fra poteri dello Stato, non ha un valore denigratorio e negativo. No, indica un' appartenenza di cui andare orgogliosi, non è sinonimo di parzialità, di inclinazione pericolosa a sinistra, di colllateralismo. No e ancora no: quelle due parole, il sostantivo e l'aggettivo, sono un doppio inchino a una coscienza «tranquillamente fiera». Ancora di più perché «sgradita» a Berlusconi e al suo mondo. Insomma, i giudici sono membri, par di capire, di un' élite prestigiosa che affonda le sue radici nella storia del Dopoguerra. La stessa che ha portato una parte della sinistra parlamentare a ritenersi moralmente, anzi antropologicamente superiore al resto dello schieramento.

Cosi l'ex pm palermitano Lorenzo Matassa, oggi gip, vede naufragare la propria richiesta di risarcimento avanzata nei confronti dell'editore Baldini & Castoldi per via di un libro sugli anni di piombo ritenuto dal magistrato offensivo e diffamatorio. Nel testo infatti Matassa è catalogato fra le toghe rosse e quella didascalia accanto al suo nome non gli era andata giù. Di qui la causa. Sorpresa: l'espressione non compromette l'immagine, anzi la rafforza. A maggior ragione perché utilizzata con intento denigratorio dal Cavaliere e dai suoi giornali. E questo, naturalmente, la sdogana. Per la verità, la questione non dev'essere così pacifica nemmeno per le toghe: in primo grado Matassa aveva vinto ottenendo un risarcimeno di 5mila euro. Pareva un processo già chiuso, dal finale scontato. E invece in appello ecco il colpo di scena: la frase non si porta sulle spalle un carico negativo e se qualcuno l'ha scagliata come si lancia una pietra resterà deluso; perché gli ermellini con la loro bacchetta magica trasformano il dito puntato in un battimani e la requisitoria in un'arringa. Miracoli del corporativismo o, più semplicemente, dinamiche del'autostima in toga. Punti di vista.

Ma anche il punto, se si vuol essere perfidi come merita la circostanza, sull'irriformabilità del nostro sistema giudiziario. Da vent'anni almeno si ascoltano prediche proclami, anche dentro i palazzi di giustizia, sullo strapotere delle correnti in toga: ci sono pm di destra, di centro e di sinistra, esattamente come a Montecitorio e a Palazzo Madama. Una divisione che non quadra e che dovrebbe seminare imbarazzo dalle parti dei giudici. Ma le sorprese non finiscono mai e quel che per alcuni è motivo di rossore, viene da altri rivendicato. Come un piccolo tesoro.

Anche il nesso, ideologico e prepolitico, fra la militanza col pugno chiuso, per esempio in Magistratura democratica, e gli anni di piombo, cade. La toga rossa può serenamente essere incorniciata ed esposta. Come un capitolo glorioso del curriculum.

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