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"Il Cav rivoluzionario pop è attuale ancora oggi"

Il conduttore tv, autore di "In nome della libertà". "Le idee della discesa in campo il nostro orizzonte"

"Il Cav rivoluzionario pop è attuale ancora oggi"

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Novembre 1993. «Suona il telefono: è Silvio Berlusconi. Il Cavaliere - rievoca Paolo Del Debbio- va dritto al punto: Sai, scendo in campo, vicino le elezioni e governo. Dovresti scrivermi il programma. Dobbiamo basarci sul liberalismo. Ma il liberalismo non è materia agile per la gente comune. Dovresti renderlo semplice. E presentabile». Pop, come si direbbe oggi. In nome della libertà, Piemme (che l'autore presenterà oggi alle 18 con Fedele Confalonieri alla Rizzoli Galleria di Milano) è la storia di quella rivoluzione, teorizzata con il solito intuito visionario e insieme pragmatico dal Cavaliere e affidata al giovane intellettuale, oggi volto televisivo di Mediaset.

Lei che faceva all'epoca?

«Ero l'assistente di Fedele Confalonieri. Mi ritrovai sulle spalle un compito immane ma anche stimolante: bisognava riunire quel che il Novecento aveva separato: la libertà e l'uguaglianza; si doveva svecchiare il linguaggio e tirare fuori dalla polvere la miglior tradizione riformista cattolica e laica. In più c'era poco tempo, perché il Cavaliere fu perentorio: Devi consegnarmi tutto per gennaio. Ecco, questo volume racconta quell'avventura e a trent'anni di distanza, nella seconda parte, ne ripropone l'attualità. Perché quello che allora era il programma di Forza Italia è di fatto oggi il perimetro del centrodestra e l'orizzonte di un Paese che deve cambiare. Uno Stato meno invasivo, meno tasse, il garantismo nella giustizia, la sussidiarietà come metronomo della società, il presidenzialismo e naturalmente, a fare pendant, il federalismo. E poi più sicurezza: c'erano appena state le stragi di Capaci e via D'Amelio, ma noi già parlavamo del vigile di quartiere. Un tema che allora era sconosciuto».

Lei con chi parlo?

«Giuliano Urbani, Sergio Ricossa, don Gianni Baget Bozzo, Antonio Martino, Giorgio Vittadini che fu fondamentale per la sussidiarietà che affondava le sue radici nella Rerum Novarum di Leone XIII e nella Quadragesimo Anno di Pio XI. E pochi altri».

E a chi si ispirò?

«Nel testo rendo merito ai miei quattro maestri: Luigi Einaudi, Carlo Rosselli, con il suo socialismo liberale, Ezio Vanoni, il padre della riforma fiscale, Luigi Sturzo che aveva idee modernissime sul ruolo dello Stato nell'economia e sulla forza delle realtà locali da riscoprire come contrappeso a Roma».

Poi?

«La storia la sappiamo tutti. Il Cavaliere vince le elezioni, si arriva al bipolarismo, ai duelli con Prodi. Cambia l'approccio alla politica. E finalmente si entra nel merito dei programmi che prima rimanevano sullo sfondo. In un contesto consociativo fra Dc e Pci».

Conosciamo anche il seguito: tante promesse, ma anche molte disillusioni.

«È vero, ma io dal 1994 passo all'oggi e alla straordinaria forza di quelle idee che, con qualche aggiustamento, sono ancora il nostro orizzonte».

Oggi tutti masticano quel vocabolario liberale.

«Mah. Io mi chiedo: quali sono le idee di fondo del Pd? E dei 5 Stelle? Un minestrone, mi pare; di qua c'è tutta una tradizione che magari è più citata che conosciuta ma ancora in grado di dare risposte: pensi agli scritti giuridici di Carrara o alla lezione sul federalismo di Cattaneo. E potrei proseguire».

Nella prefazione Marina Berlusconi pubblica un testo inedito del padre.

«Quattro fogli, gli ultimi di Silvio Berlusconi, scritti al San Raffaele poche ore prima di morire. L'estrema lezione di un maestro che ha aperto una strada nel 1994 e l'ha perseguita tenacemente fino alla fine, disegnando una traiettoria che può portare molto lontano».

Quale è oggi la riforma più importante?

«Sicuramente quella fiscale.

Si sta facendo qualcosa, ma ci vuole il coraggio di andare in profondità, proprio come Vanoni nel 1951».

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