
Cernobbio (Co) - Il grosso problema dell'Europa è la Cina. E l'Isis? Ci vorrebbe un intervento degli Stati Uniti. E l'emergenza migranti? Ci devono pensare i politici europei. È questo il sentiment – così lo chiamano gli addetti ai lavori – del popolo di imprenditori, manager, banchieri e maghi della finanza riuniti per tre giorni da Ambrosetti a Cernobbio. Basta scorrere i risultati del sondaggio che è stato fatto ieri mattina durante la prima sessione del Forum (rigorosamente a porte chiuse) dedicata alla sicurezza globale e al quadro economico.
La Cina è «l'area di crisi che può avere maggior impatto sul business» per il 36,2% dei partecipanti. Alla stessa domanda che prevedeva al massimo due risposte il 25,2% ha segnalato la «frenata di alcuni mercati emergenti», il 15,8% la «crisi russo ucraina». Seguono «Isis/fondamentalismo islamico» (7,9%), «instabilità in Medio Oriente» (5,5%) e infine i «migranti verso l'Occidente» che preoccupano il 3,9% degli ospiti. Percentuale superata persino da un sostanzioso 4,7% che dichiara di non avere alcuna paura.
Ma i risultati sulla classifica delle emergenze non devono sorprendere. La stessa Europa è stata fatta prima sulla moneta e poi sui popoli, con risultati che ancora oggi sono discussi. Nella grande terrazza di villa d'Este, fra un panel e l'altro, si discute più di sindrome cinese che dell'esodo siriano. «La Cina è troppo grande per essere derubricata a una questione poco rilevante per la nostra economia, è stata ed è un potente motore per la crescita globale. Per questo se l'economia cinese rallenta, si tratta di un elemento che crea una forte discontinuità per le Borse», dice al Giornale Giacomo Campora, direttore generale di Allianz Spa. La questione dell'immigrazione e di come gestire il flusso di rifugiati «è invece imprevedibile e non misurabile. È un fenomeno che devono gestire i politici, nel senso che devono essere loro i più bravi, o i leader religiosi. Il sistema finanziario e le banche non possono fare i sussidiari della politica come hanno fatto in questi ultimi anni: se l'economia mondiale non è andata in avvitamento è stato anche grazie all'intervento delle banche centrali», sottolinea Campora.
Sollecitato durante i break fra un incontro a porte chiuse e l'altro, il presidente di Telecom, Giuseppe Recchi alza comunque la soglia di allarme e va un po' controcorrente: «Non credo che la Cina azzopperà la ripresa, mi preoccupa invece molto il fenomeno dell'immigrazione che viviamo direttamente. Quello che non ha fatto l'euro al populismo, rischia di farlo l'immigrazione: crea sbilanciamenti sul sistema di welfare e comporta un confronto culturale nonchè la necessità di relazionarsi con comunità diverse. Fattori che potrebbero alimentare, appunto, il populismo». Il tema,per Recchi, è politico «perché è la politica che deve trovare una soluzione. L'immigrazone è un costo ma può rappresentare anche un'opportunità per un sistema demografico come il nostro, messo in crisi da un basso tasso di crescita della natalità. La Germania lo ha già capito».
C'è poi chi punta il dito sul problema della registrazione dei migranti «perché di molti si perdono subito le tracce», sottolinea Gregorio Fogliani, amministratore delegato di Qui Group (multinazionale dei buoni pasto) che invoca una soluzione anche in termini di «organizzazione» ma conferma che fra i suoi colleghi il Dragone fa più paura.
Per Walter Ruffinoni, ad di Ntt Data Italia le istituzioni cinesi hanno invece «tutti gli strumenti per governare il rallentamento dell'economia reale». Quanto al fenomeno dei migranti, «purtroppo è destinato a durare». Ma a Cernobbio ci penseranno dall'anno prossimo.