Facile salire sul carro dei vincitori, abbagliati dall'aura del successo altrui. E, se non si può dire invidia, scatta se non altro un senso di immedesimazione, di empatia almeno. E allora ecco perché -in questi ultimi giorni- i politici italiani sono tutti un po' Macron. Da Renzi a Brunetta, Macron che ha (quasi) vinto piace tanto, sempre di più. Copioni già scritti per finali non sempre felici. Sì perché nell'esaltazione del vincitore a tutti i costi, non sono mancati gli abbagli. Clamorosi. Il più eclatante, andò in scena proprio a Venezia alla mostra del cinema con un Chavez accolto in pompa magna sul tappeto rosso. Tutti a inneggiare al caudillo pop che si porta sempre bene a sinistra, un delirio rosso tra applausi e ovazioni, ospite di Oliver Stone che gli dedicava il documentario «South of the Border», propaganda pura sotto lo sguardo eccitato di cronisti e fotografi. Il Paese della rivoluzione bolivariana esaltato a baluardo della libertà, infiammato dall'internazionalismo proletario, faro dell'antiamericanismo, modello sudamericano. Era il 2009 e sembra passato un secolo. Oggi il Venezuela muore di fame tutti i giorni. Le politiche deliranti del caudillo prima e di Maduro poi, lo hanno ridotto allo stremo.
Eppure negli anni si sono sprecate le gare italiche a chi fa più il tifo per il vincitore del momento, pratica che non di rado ha anche portato male. Vedi alla voce Hollande, finito in un imbarazzante silenzio degli ex sostenitori. O che dire delle lodi per Zapatero detto «Bambi». Ah la Spagna progressista, liberale esaltata da questo leader fresco e di sinistra, che voleva dare diritti anche alle scimmie. C'è stato il tempo in cui tutti erano un po' Yanis Varoufakis, ex ministro delle finanze greco, uomo forte, simbolo del governo Tsipras, paladino ellenico anti Merkel, anti establishment, a risvegliare le coscienze italiane sulla terza via, eccezionale ospite nel 2015 a Che tempo che fa. Colpaccio di Fabio Fazio che lo ha strappato ai suoi impegni e portato in prima serata. Il tutto per 24mila euro. Più di mille euro al minuto, per un'intervista durata meno di 22 minuti. Niente tirchierie per il personaggio del momento. Nella mail si specificavano anche le spese extra di «viaggio in business class, alloggio, trasferimenti aeroportuali e di terra, pasti e spese accessorie». Insomma, va bene la crisi in Grecia ma non tutti hanno l'obbligo di soffrire. Innamoramenti intensi ma fugaci, destinati a spegnersi come code di comete.
Justin Trudeau invece è un astro che brilla ancora nel cielo dei politici più invidiati del pianeta. Il Justin più amato del Canada dopo Bieber (il cantante). Il primo ministro Trudeau, ex pugile e maestro di snowboard ha incantato vip e leader di tutto il pianeta. Le foto di Ivanka Trump che non riusciva a togliergli gli occhi di dosso, prima di lei la principessa Kate, ammaliata dal fascino addirittura la regina Elisabetta. Charme e affabilità le sue armi politiche, e poi. Poi i profughi siriani all'aeroporto di Toronto a dicembre accolti con qualche lacrima scappata a tradimento gli hanno regalato un bagno di popolarità globale. «Nel 1998- ha raccontato una sua ex allieva- è stato supplente alle scuole medie. I maschi lo trovavano fantastico e tutte noi avevamo una cotta per lui». Il suo charme lo ha portato anche a casa Trump. Regalando al presidente americano una vecchia foto del padre con il tycoon. Una carezza all'ego di Trump che ha fatto centro.
Il bel Trudeau ha lasciato Washington con la promessa che Ottawa non sarà toccata dalla revisione del Nafta, l'accordo che da 23 anni regola il libero scambio tra Usa e Messico e Canada. La «Justinmania» per ora ce l'ha fatta.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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