Cultura e Spettacoli

Che bello, torna il fotoromanzo. Sfida l'Italia dello smartphone

Con "Sogno" riecco gli storici sceneggiati della Lancio. Che travolsero il Paese e sconfissero anche i comunisti

Che bello, torna il fotoromanzo. Sfida l'Italia dello smartphone

É stato per decenni l'appuntamento fisso della settimana come la messa la domenica mattina e i pasticcini da portare a pranzo, il Netflix di carta di milioni di mamme, nonne e fanciulle innamorate. Il fotoromanzo, tornato in edicola in questi giorni dopo anni con Sogno, la rivista che lanciò Sophia Loren, Ornella Muti e Franco Gasparri, è stato, appena nato, il fumettone rosa che raccontava i sogni ritrovati della piccola borghesia, uscita a pezzi dalla guerra, il gemello diverso dei melodrammoni che spopolavano al cinema con Amedeo Nazzari e Yvonne Sanson. Si intitolavano Come fuscelli nella tempesta, Anime incatenate, Una donna per l'uomo che amo.

Il primo fu Grand Hotel, sedici pagine, 12 lire, la metà di un quotidiano, a fumetti. Centomila copie stampate, ristampate 14 volte in pochi giorni, nove, dieci lettori per ogni copia venduta. Tre anni dopo Silvana Mangano in Riso amaro, dopo aver ballato un boogie woogie con Vittorio Gassman, si mette a sfogliare una copia di Gran Hotel. Il fotoromanzo è ormai un divo del cinema, a cui lavorano i grandi illustratori dell'epoca come Walter Molino. E le copertine con ragazze sempre giovani e eleganti al mare o a i monti, e più tardi in Lambretta o in Vespa, anticipano l'Italia che verrà.

È un caso unico in Europa e all'estero un po' ridono di quest'italietta tutta cuore, lacrime e malafemmene. Ma il fotoromanzo, invenzione tutta italiana, sbarca ovunque. Dopo Cino Del Duca, il papà di Grand Hotel, arrivano Mondadori con Bolero e Rizzoli con Sogno. Fanno soldi a palate anche se trattati dagli snob con ironia se non addirittura disprezzo per quello che viene considerato un sottoprodotto culturale. Per la Chiesa e i comunisti sono dei nemici mortali: i primi temono corrompano i costumi, i secondi che distraggano dalla lotta di classe. Ma sei lettori su dieci dei fotoromanzi sono operai e operaie. Racconta Anna Bravo nel libro Il fotoromanzo: «Nel 1953 alla Mazzonis di Torino, fabbrica combattiva, 500 operaie di cui 300 sindacalizzate, l'Unità vende 30 copie, Grand Hotel 300 e Bolero 200». Anche il Sessantotto, che lo considera un prodotto reazionario e antifemminista, viene seppellito da una risata.

Per questo il Pci, non potendolo vincere, scende a patti con il diavolo e per le elezioni del 1953 lancia un fotoromanzo più noioso dei discorsi delle sardine che intreccia l'amore alla lotta di classe. Famiglia Cristiana risponde con fumetti che raccontano coppie devote, sante patrone di mogli infelici e ragazze madri. Anche la Bibbia diventa fotoromanzo.

Qui, si diceva, nasce Sofia Loren. Quando passa il provino ha 16 anni, parla quasi solo napoletano, ma il fisico e la faccia sono quelli giusti. Poi arriveranno la Lollobrigida, la Cardinale, Gassman, Walter Chiari, la Carrà, Arbore, Mike Bongiorno persino Giorgio Albertazzi e Ottavio Missoni.

Il boom è degli anni Settanta quando le case editrici vendono 8 milioni di copie al mese. Ci sono 14 testate della Lancio, 5 della Rusconi, 3 di Mondadori. Si crea uno star system di divi più amati di quelli del cinema. Franco Gasparri, il principe dagli occhi verdi, in un'inchiesta del 1975 risulta il più amato dalle italiane, davanti persino a Mastroianni, Per Claudia Rivelli, Katiuscia, Michela Roc, si creano file chilometriche davanti agli stabilimenti dove girano. Poi la tv privata, con i suoi Dallas e le sue telenovelas, li ripone piano piano nel cassetto.

Ritrovarli, nell'era dello smartphone, sembra quasi un Sogno.

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