Tokyo 2020

"Ma che cosa abbiamo fatto?". L'impossibile adesso esiste

Questo è il giorno in cui hai visto l'impossibile. Non è la sorpresa. Non è solo quello che non ti aspetti. È una di quelle storie che se te le raccontano ti sembrano inverosimili

"Ma che cosa abbiamo fatto?". L'impossibile adesso esiste

Questo è il giorno in cui hai visto l'impossibile. Non è la sorpresa. Non è solo quello che non ti aspetti. È una di quelle storie che se te le raccontano ti sembrano inverosimili. C'è un ragazzo di lago, di Desenzano, sul Garda, che ha appena acciuffato l'oro dei 100 metri. È l'uomo più veloce di tutti. Nulla è come i 100. È la sfida primordiale. È la gara di Achille. È vecchia come il mondo. È un lampo. È istintiva. È la prima scommessa che fai da bambino con gli amici: vediamo chi arriva prima? Ne resteranno solo otto e chi vince è una leggenda. Non pensavi mai potesse toccare a un italiano. Non nei 100. Il nostro sogno sono i 200, con la curva perfetta di Berruti e le colombe che ne segnano la magia o la tigna da antieroe di Mennea, il mortale che sconfigge dèi e robot. I 100 non sembrano dare spazio all'inatteso, c'è poco tempo per improvvisare un miracolo. Cosa puoi inventarti in meno di dieci secondi? I 100 sono più antichi della magia. Invece a Tokyo accade l'imponderabile. Il ragazzo di lago corre più in fretta di tutti e si prende l'oro dopo la dittatura post umana di Usain Bolt, come se solo uno cresciuto in questa striscia di terra lunga e stretta, con un mare che ha più storie da raccontare di qualsiasi oceano, potesse riportare la corsa a vista d'uomo. Non basta. Sulla pista ad accoglierlo c'è il ragazzo che doveva restare zoppo. Gli zompa addosso e lo abbraccia e si avvolgono insieme di tricolore. E ridono, piangono, si sbracciano e ancora non ci credono. L'altro porta a spasso un gesso di quelli che ti mettono in ospedale. Era al suo piede cinque anni fa. È il segno di un dolore. Il ricordo di una sera di malasorte. È successo prima delle Olimpiadi di Rio e da allora rincorre l'occasione perduta. Sul gesso ha scritto un luogo, Tokyo, e una data: 2020. Poi l'ha corretta con 2021. Ha atteso un anno in più, facendo i conti con il virus, per prendersi la rivincita sul destino. È andato in alto, fino a due metri e trentasette centimetri, saltando sulle cicatrici, fino a che sono rimasti solo in due. Non sono riusciti a superare l'asticella dei due e trentanove e così si sono divisi l'oro. Hanno deciso di non sfidarsi ad oltranza. Si sono stretti la mano e sorridendo si sono detti: basta così. Su quel gradino c'è posto per due. Due ori, due ori uno dopo l'altro. Salto in alto e 100 metri. È come incrociare due rette, una in verticale e l'altra in orizzontale, e cercare il punto in cui le cose accadono davvero. È tutto reale. È il primo agosto 2021 e ti ricorderai di un'estate troppo calda, di un'incertezza che non passa, di vaccini già fatti e di vaccini da fare e di quei due ragazzi. La racconterai. La ascolteranno i figli e poi i nipoti. Resterà come la leggenda di un giorno lontano.

Quella volta che Gimbo Tamberi disse a Marcell Jacobs: «Ma che cazzo abbiamo fatto?».

Commenti