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Corea del Sud, Parlamento destituisce il presidente Yoon
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La via che porta a Palazzo Chigi

Le nuove Camere si riuniranno per la prima volta il 13 ottobre ed eleggeranno i rispettivi presidenti e gli uffici di presidenza, mentre i gruppi parlamentari nel frattempo designeranno i presidenti e gli organi direttivi

La via che porta a Palazzo Chigi

Le nuove Camere si riuniranno per la prima volta il 13 ottobre ed eleggeranno i rispettivi presidenti e gli uffici di presidenza, mentre i gruppi parlamentari nel frattempo designeranno i presidenti e gli organi direttivi. Solo a questo punto, attorno al 25 ottobre, nella sua veste di commissario alle crisi di governo il capo dello Stato avvierà le consultazioni con i rappresentanti dei gruppi e dei partiti. Non previste espressamente dall'ordinamento giuridico, fin dai tempi dello Statuto albertino si sono affermate in via di prassi consolidatasi in consuetudine.

Non tutte le consultazioni, però, sono uguali. Sono per così dire ad pompam se la coalizione ha un leader e una maggioranza parlamentare decreta dal voto popolare. In tal caso le consultazioni saranno soprattutto l'occasione per prendere assieme una tazzulella di caffè al Quirinale. Dopo di che il presidente della Repubblica conferirà l'incarico di formare il governo al predetto leader. Non a caso Vittorio Emanuele III disse una volta che i suoi occhi e le sue orecchie sono quelli della Camera dei deputati, l'unica elettiva in quanto il Senato era di nomina regia.

Le consultazioni sono invece ad substantiam se l'esito del voto popolare è incerto e nessuna coalizione ha in parlamento una schietta maggioranza. Nel qual caso il capo dello Stato dovrà iscriversi all'Accademia del Cimento, provare e riprovare. E alla fine conferirà l'incarico a una personalità, parlamentare o no che sia, il cui governo presumibilmente passerà indenne sotto le forche caudine delle Camere. Ma se esse non concederanno la fiducia, o ci sarà un altro incarico o la parola spetterà agli elettori. Com'è accaduto a luglio.

Se la coalizione di centrodestra farà il pieno di voti popolari e otterrà una solida maggioranza parlamentare, come testimoniano i sondaggi, Mattarella affiderà l'incarico a Giorgia Meloni, leader del partito più votato e indicata dagli altri leader della coalizione. Mentre all'inizio della scorsa legislatura Mattarella giustamente non conferì l'incarico a Matteo Salvini, leader della coalizione più votata, perché non aveva nessuna probabilità di formare un governo vitale. Insomma, la Meloni può dormire sonni tranquilli.

C'è poi un secondo tempo rappresentato dalla nomina dei ministri. La Meloni farà un primo giro di consultazioni con tutti i partiti rappresentati in Parlamento e un secondo giro con i rappresentanti di tutto il centrodestra per concordare il programma e avanzare proposte sulla squadra di governo. Ma nel rispetto dell'articolo 92 della Costituzione, secondo il quale il presidente della Repubblica nomina il presidente del Consiglio e, su proposta di questo, i ministri.

L'attenzione dell'inquilino del Colle da sempre si è soprattutto accentrata sui ministeri dell'Interno, degli Esteri, della Difesa e dell'Economia. Magistrato di persuasione e d'influenza qual è, talvolta ha suggerito trasferimenti da un dicastero a un altro prontamente accolti dal presidente del Consiglio.

Il problema sorge se, come fece Conte per Savona, il premier risponde picche. In tal caso chi dei due tiene il punto? Per il diniego al trasferimento di Savona, Mattarella colò a picco il governo in fieri. Salvo resuscitarlo dopo il ripensamento dell'amico del popolo.

Tuttavia l'articolo 92 va letto assieme con l'articolo 95 della Costituzione, secondo il quale il presidente del Consiglio dirige la politica generale del governo e ne è responsabile. E questa politica, piaccia o no, cammina con le gambe dei ministri.

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